Ci sono poche idee, meglio denigrare

Non riuscendo a immaginare cose nuove e concrete, ci si presta a fare solo quello che si sa già fare, per pigrizia e abitudine. I partiti non sanno illustrare programmi credibili, indicare agli elettori una prospettiva, segnare in modo convincente la direzione in cui si vuole andare, quantificare i costi delle promesse da mantenere? E allora sanno come cavarsela, dove e come mostrarsi esperti: cioè dando il peggio di sé. E il peggio delle campagne elettorali è quando i motivi dominanti dei discorsi diventano prepotentemente la denigrazione dell’avversario, la delegittimazione feroce di questo avversario ridotto a nemico, la demonizzazione contro la persona. Oppure, nella sua versione più blanda, la messa in ridicolo di chi rischia di catturare i tuoi voti. Pratica senz’altro legittima, visto che l’asprezza di una campagna elettorale non sempre permette il fair play. Inoltre tra i candidati ce ne sono, di buoni motivi, per rendersi ridicoli e per farsi ridicolizzare. Ma se tutto si riduce a questo, quanta noia rischia di sommergere gli elettori, già molto riluttanti a dare il loro consenso a uno dei partiti in lizza? Gli argomenti più frequentati in questi giorni sono quanto di più lontano da ciò che gli elettori indecisi, i recalcitranti, i delusi si aspetterebbero per essere convinti a recarsi ai seggi il prossimo 4 marzo. Ora per esempio infuria il conteggio dei massoni e degli ex massoni.

Motivi che nemmeno i più ossessivi dietrologi considererebbero appassionante in una campagna elettorale. Ne scoprono alcuni nelle liste del Movimento 5 Stelle, ambiente in cui la massoneria viene vissuta come un’entità diabolica, e si capisce l’effetto comico di chi predica in un modo e pratica in quello opposto. Scoprono anche gli ex, quelli che massoni non lo sono più. Allora nei 5 Stelle, offesi e in difficoltà, si sguinzagliano i militanti per prendere in castagna quelli del Pd o di Forza Italia che pare abbiano indossato il cappuccio massonico. Ma poi? Davvero la corsa alla ridicolizzazione può sostituire una campagna elettorale fatta su una competizione di idee. Poi arriva la farsa dei rimborsi taroccati dei deputati grillini, delle scuse grottesche di chi è stato colto con le mani nel sacco, una fiera di piccole cose meschine, di minicreste, di bonifici taroccati. Ed ecco allora nell’ambiente 5 Stelle, per orgogliosa ritorsione, la riesumazione delle note spese gonfiate dei deputati regionali del centrodestra e del centrosinistra con abbondanza di ostriche, bottiglie di vino e biglietti della Lotteria. Da ultimo, le rivelazioni su un candidato dei 5 Stelle, noto alle cronache per la telefonata brusca con il comandante Schettino dopo l’incidente della Concordia nei pressi dell’isola del Giglio, riguardo a presunti maltrattamenti della moglie, da quest’ultima appena denunciati. E il destino nei prossimi giorni fino al 4 marzo sarà certamente generoso regalandoci altri squarci di vita di candidate e candidati.

Il salto di qualità avviene con l’inchiesta di Fanpage che in Campania ha fatto il suo mestiere giornalistico rivelando alcuni incontri compromettenti del figlio del Governatore della Campania De Luca, del Partito democratico, su argomenti come lo smaltimento dei rifiuti, tema di pertinenza della Regione presieduta dal padre. I giornalisti di Fanpage hanno fatto bene il loro mestiere, i magistrati che indagano sullo scandalo delle «ecoballe» che vedono coinvolto anche un candidato di Fratelli d’Italia non possono che fare il loro. Ma il fatto che il cuore della campagna elettorale di Luigi Di Maio, che nel frattempo dovrebbe fare un po’ di pulizia tra quelli che si sono intascati i rimborsi e soprattutto convincere gli elettori di essere un buon candidato premier, sia esclusivamente incardinato sulla demolizione della famiglia De Luca non depone a favore della salute di questa competizione. E non è solo il solito crampo giustizialista che ha per decenni ammorbato la lotta politica in Italia. È soprattutto l’eterna tentazione di combattere la lotta politica con altri mezzi, confidando nei passi falsi del nemico invece che sulla forza di convinzione del proprio schieramento. Una deriva in cui la demolizione dell’altro fa premio su qualunque altro discorso. Come se davvero gli elettori decidessero su questi temi come orientarsi e quale schieramento premiare. Un’illusione. L’ennesimo errore.

CORRIERE.IT

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