Dal 5 marzo in poi: i guai del Pd dentro e fuori casa
Sara Dellabella
Mancano oramai pochi giorni alla chiusura della campagna elettorale e mentre gli appuntamenti in agenda si fanno più fitti, c’è già chi pensa al post elezioni.
Un po’ perché gli ultimi sondaggi pubblicati prima dello stop hanno mostrato un quadro di incertezza che consegna al Paese solo vittorie parziali. M5S primo partito ma inabile a governare da solo, la coalizione di centro destra a pochi punti da quel fatidico 40 per cento e il Pd in discesa libera. State certi però, che all’usanza italica, il 5 mattina saranno comunque tutti i vincitori di queste elezioni.
I problemi al Nazareno
Al Nazareno le acque sono agitate, perché oltre ai risultati elettorali, in gioco c’è la tenuta del partito. All’indomani della composizione delle liste, molti comitati locali hanno fatto sapere che dal 5 marzo sarà necessario ripensare la struttura senza Renzi, o con un segretario fortemente ridimensionato.
Sono nati per questo in Sicilia i “Partigiani del PD”, a Bolzano 14 esponenti sono usciti in dissenso alla candidatura di Maria Elena Boschi e anche Prodi qualche giorno fa ha fatto intendere qual è la direzione da intraprendere per non smarrire del tutto il progetto di una grande forza democratica e inclusiva che negli anni, a forza di epurazioni e scissioni, si è trasformata in un comitato elettorale al servizio dell’ex sindaco di Firenze.
Tuttavia, c’è da tener presente che la compagine dei prossimi parlamentari dem sono dei fedelissimi di Matteo Matteo Renzi e che oggi anche gli organi interni sono espressione della maggioranza uscita dall’ultimo congresso. Per cui immaginare un passo indietro di Renzi è una cosa, ma la realtà è ben altra e neppure in caso di congresso anticipato è detto che il Pd sia in grado di cambiare passo, visto che chi era in dissenso con il segretario ha preferito uscire dal partito anziché fare opposizione interna. Paradossalmente, nonostante un tonfo alle urne, la posizione di Matteo Renzi potrebbe uscire persino rafforzata ed il Pd essersi mutato definitivamente nel “partito di Renzi”.
Con Forza Italia per rimanere a galla
Ma tralasciando gli affari di casa Pd, Renzi ha un’altra partita da giocare.
Perché per poter sperare di contare qualcosa nella prossima legislatura non ha altra chance che cercare alleati alla sua destra. Anche perché con gli ex dem, oggi in Leu, corre pessimo sangue e i voti di Potere al Popolo oltre ad essere inaccessibili sarebbero comunque insufficienti.
L’unica opzione possibile per poter governare è l’alleanza con Forza Italia che però, a parti rovesciate rispetto a cinque anni fa, stavolta potrebbe essere chiamata a indicare un premier. Essendo escluso che in pochi mesi si possa tornare alle urne, è ipotizzabile un rimescolamento delle carte in tavola nel caso in cui la coalizione di centro destra non raggiungesse il fatidico obiettivo del 40 per cento.
In quel caso Pd e i partiti della coalizione di centrosinistra potrebbero entrare a far parte di un governo a guida Antonio Antonio Tajani con un riequilibrio di poteri e posizioni tra i vari schieramenti in campo, in cui Boschi e Gentiloni potrebbero essere ancora espressione del Pd al governo.
Cambiando l’ordine dei fattori il risultato non cambia e si chiama sempre: larghe intese.
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