Verso il voto, i rischi della violenza politica

Come in una reazione a catena, all’agguato contro il responsabile palermitano di Forza nuova è seguito a Perugia il ferimento di un militante di Potere al popolo. Due episodi che richiamano anche nelle modalità (l’appostamento in attesa della vittima designata e l’aggressione durante l’attacchinaggio dei manifesti) ciò che negli anni Settanta era quasi all’ordine del giorno. Che ci sia o meno un collegamento tra i due episodi, il risultato è che a un assalto attribuibile all’ultrasinistra se n’è aggiunto un altro di probabile marca neofascista; le indagini chiariranno meglio la dinamica dei fatti, ma comunque si è trattato di uno scontro tra opposte fazioni. Manifestazioni di violenza politica a cui si aggiungono le scritte oltraggiose sulla lapide in costruzione per le vittime di via Fani, che dimostra la confusione mentale di chi inneggia a un’azione delle Brigate rosse firmandosi con la svastica, e la tentata irruzione dei «camerati» di Forza nuova negli studi de La7. C’è da augurarsi che la catena non si allunghi, ma non è affatto certo.<

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Anzi, il pericolo di un’escalation non si può escludere. Naturalmente, i paragoni con gli anni cosiddetti «di piombo» si fermano alle apparenze e a qualche similitudine in alcuni accadimenti, giacché il clima e le condizioni sono (quasi) del tutto diverse. Ciononostante gli investigatori e gli esperti di sicurezza notano un incremento di numeri e di tensioni che destano preoccupazione. Dall’inizio dell’anno gli episodi catalogati come «contrapposizione violenta» (sebbene non sempre sfociati in scontri) sono circa settanta; più di uno al giorno, una media ben più alta rispetto al passato. Per via della competizione elettorale in corso, in cui sono coinvolti anche gruppi dichiaratamente neofascisti che reclamano il diritto alla piazza, ma l’impennata si è registrata soprattutto dopo il raid del nazista di Macerata. Come se la naturale e giusta condanna di ogni forma di razzismo avesse sdoganato l’aggressione fisica nei confronti dell’estrema destra. Che fascismo e antifascismo non siano la stessa cosa è fuori discussione, e su questo punto il capo dello Stato Sergio Mattarella ha detto parole chiare e inequivocabili.

Il problema è la violenza che non può essere mai giustificata né tollerata. In nome di nulla. Non ci può essere ragione o colorazione che tenga rispetto a un’imboscata con tanto di spranghe, un accoltellamento o un pestaggio. L’Italia è un Paese dove la violenza politica ha fatto danni incalcolabili segnando pro-fondamente il corso della storia, dal dopoguerra in poi. E se è vero che il passato non ritorna perché mancano le premesse, che una stagione come quella della «strategia della tensione» e del terrorismo nostrano non sembra riproponibile e perciò non è il caso di creare indebiti allarmismi, è anche vero che certe azioni e reazioni sono preoccupanti non solo per gli effetti che provocano sulle persone coinvolte, ma perché non si sa a quali ulteriori conseguenze possono portare. Non c’è bisogno dei morti e delle pistolettate per innescare spirali dalle quali è difficile tornare indietro, e in ogni caso lasciano segni che possono costituire lo spunto per altre degenerazioni. Per questo, tanto più in un tratto finale di campagna elettorale che non ha bisogno di ulteriori pretesti e strumentalizzazioni, che inevitabilmente può accendere gli animi e fornire occasioni di ribalta a chi non conosce le regole della democrazia, o se ne infischia, o vuole approfittarne per guadagnare visibilità, sarebbe opportuno che tutti i protagonisti della competizione politica valutassero bene il peso dei comportamenti e delle parole, e si ponessero il problema di non alimentare nuove scintille. Anche se non c’è pericolo di incendi, possono bastare piccoli fuochi per intossicare la convivenza civile.

CORRIERE.IT

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