Cari ragazzi, la vera rivoluzione è stare al centro
L’altra sera una brava collega mi ha interpellato sul voto dei neo diciottenni, gli esordienti di queste elezioni.
Ho obiettato che io ho più di tre volte quell’età e che quindi ero totalmente impreparato sull’argomento. Alla fine mi ha estorto una confessione sul mio primo voto. Era il 1976 e per la prima volta nella storia della Repubblica i diciottenni erano ammessi alle urne (in precedenza l’età minima era 21 anni). Mi preparai all’appuntamento come ci si prepara al Natale. In casa i miei erano fan di Giorgio Almirante e votavano Msi, ma io non ero convinto di stare dentro gli strascichi di una guerra civile, che in quegli anni erano tornati cruenti, ed ero attirato dalla dottrina liberale. Non volendo dare un dispiacere a mio padre decisi che in casa avrei detto di votare Msi ma nell’urna avrei sbarrato il simbolo del Pli. Senonché a pochi giorni dal voto Indro Montanelli scrisse su questo giornale il famoso fondo «Turatevi il naso e votate Dc» per contrastare il pericolo di un sorpasso del Pci sulla Democrazia cristiana.
Mi fidai del consiglio del mio giornale di riferimento e così feci. Dicevo di votare Msi, avrei voluto votare Pli, votai (unica volta) Dc. Un bel casino, insomma, del quale un po’ mi vergognai ma del quale mai mi sono pentito.
Racconto questa inutile memoria perché a pensarci bene la situazione di oggi ha delle analogie con i miei diciotto anni. C’è nell’aria un pericolo di «sorpasso» che non viene più dai comunisti ma dai grillini, forza altrettanto illiberale e per di più assolutamente inesperta e incapace. Ci sono indizi di intolleranza e violenza (quello che spara ai neri, l’altro che lega e spranga il giovane di destra, i centri sociali che assaltano a mazzate le forze dell’ordine) non così drammatici e radicati come negli anni Settanta ma comunque preoccupanti. Rispuntano gli slogan giustificazionisti e inquietanti di allora, da «i compagni che sbagliano» ai «cattivi maestri» e come allora c’è una crisi economica che può fare da detonatore alle tensioni sociali.
Insomma, non c’è un bel clima e l’unico consiglio che mi sento di dare, memore della mia esperienza, ai giovani esordienti al voto è questo: siate rivoluzionari, non omologatevi alla massa. E oggi essere rivoluzionari significa stare al centro, unico luogo di libertà e di democrazia tra estremismi folli, pericolosi e inconcludenti. E per quel che vedo non c’è neppure tanto bisogno di turarsi il naso.
IL GIORNALE