Fico presidente della Camera. La mossa del M5S guarda al Pd

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Il primo atto che darà un’indicazione sulle possibili convergenze di governo sarà l’elezione dei presidenti di Camera e Senato. Una faccenda da sbrigare subito dopo la convocazione delle aule parlamentari, fissata per il 23 marzo. Saranno già passati quasi venti giorni dal voto, utili alle prime manovre dei partiti che sognano Palazzo Chigi.

 Nelle trattative di governo finiranno i nomi di chi potrebbe sedere sugli scranni più alti di Montecitorio e di Palazzo Madama e ogni scelta, ogni apertura e ogni chiusura, avrà un significato politico preciso. Qualche messaggio in tal senso se lo stanno già inviando Pd e M5S. Ieri, il segretario dem Matteo Renzi, parlando al forum de La Stampa, ha detto di essere favorevole all’adozione di un metodo più largo di elezione dei presidenti delle Camere. A monte ci potrebbe essere anche un mossa tattica: nel tentativo di neutralizzare le ambizioni di governo di Luigi Di Maio, i dem potrebbero proporgli la guida di Montecitorio, dove per questi cinque anni il grillino ha già ricoperto il ruolo di vicepresidente.<

 

La condivisione della nomina potrebbe anche preludere all’avvio di un ragionamento di governo assieme al Pd, visti i recenti segnali inviati dai 5 Stelle alla sinistra – LeU ed Emma Bonino compresi. Ma è difficile, se non impossibile, che Di Maio rinunci alla partita per Palazzo Chigi, visto che ha posto come condizione per qualsiasi tipo di partecipazione di governo del M5S che sia lui a vestire i panni del presidente del Consiglio. E poi i 5 Stelle hanno già qualcuno che stanno coccolando come presidente della Camera in pectore: Roberto Fico. È uno dei leader, anche se messo in minoranza nell’era Di Maio, ormai fuori dai vertici e dal perimetro della squadra del candidato premier. E poi, è consapevolezza diffusa nel M5S: «Fico piace alla sinistra». Sarebbe anche una carica di prestigio, che gratificherebbe il deputato e premierebbe la sua storia di pioniere del Movimento. A cercare un parallelo nel passato, viene in mente Pietro Ingrao, che vestì i panni del presidente della Camera quando era portavoce di un pensiero non più maggioritario nel Pci.

 

Intanto Di Maio, in una sorta di reality del mandato di governo in anticipo sui tempi, continua a distillare informazioni su come sarà composta la squadra dei suoi eventuali ministri, che presenterà al presidente Sergio Mattarella e svelerà dopodomani pomeriggio a Roma. «Saranno tecnici ma con il cuore – dice il leader -. Gente non solo di testa ma anche del fare, che ha le mani nei settori di cui si occuperà». Confermato che ci saranno «pochissimi» big interni, tra i quali Alfonso Bonafede alla Giustizia, e dopo l’annuncio del generale Sergio Costa all’Ambiente, questa sera Di Maio farà i nomi di chi è stato designato ai ministeri di Lavoro-Welfare, Agricoltura e al nuovo dicastero della Pubblica amministrazione che si chiamerà della Sburocratizzazione e della Meritocrazia. Al Lavoro, salvo sorprese, andrà Pasquale Tridico, economista di Roma Tre, già nell’orbita del M5S, mentre Guido Bagatta, giornalista, ex volto Mediaset, fa sapere che sta riflettendo sull’offerta del ministero dello Sport. Per la Salute si fa il nome di Pierpaolo Sileri, chirurgo, candidato con i grillini all’uninominale, e per lo Sviluppo economico è stato sondato Andrea Roventini, professore alla Sant’Anna di Pisa e tra gli invitati, un anno fa, del convegno organizzato dal M5S su «Lo Stato innovatore».

 

Ha creato grande suspense, invece, l’anticipazione di Di Maio sui tre superministeri, Esteri, Interno e Difesa, che saranno riservati a tre donne. In realtà, i 5 Stelle non avrebbero ancora deciso chi andrà a ricoprire quei ruoli. Sul tavolo hanno una rosa di nomi per ogni ministero e in queste ore stanno facendo le ultime valutazioni. Ieri è spuntata come ipotesi per la Farnesina Nathalie Tocci. Romana, laureata all’University College di Oxford, 40 anni, dal 2017 direttrice dell’Istituto Affari Internazionali, è special adviser dell’Alto rappresentante Federica Mogherini sulla nuova strategia di politica estera dell’Unione europea. Un profilo in continuità sulla politica estera, che va nella direzione indicata da Di Maio venti giorni fa alla Link University di Roma, ed esperta molto stimata – confermano dal M5S – dai deputati grillini uscenti della commissione Esteri della Camera. Tocci rispecchia anche l’altro indizio importante lasciato da Di Maio: «I nostri ministri non appartengono alla storia del M5S». Non tutti almeno. «Molti – aveva spiegato una fonte del M5S due giorni fa – sono di area centrosinistra».

LA STAMPA

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