Tutte le carte di Mattarella per il dopo voto
Si fa presto a dire un governo. «I vecchi partiti dovranno passare da noi, loro non avranno i numeri», si dice sicuro il candidato premier del M5S, Luigi Di Maio. «Il premier sarò io», insiste il leader leghista Matteo Salvini. «Saremo noi il primo partito e il primo gruppo parlamentare», ripete invece il segretario dem Matteo Renzi. In bilico tra speranza, sondaggi e propaganda, tutti provano a proiettarsi a Palazzo Chigi. Ma, con una legge elettorale per due terzi proporzionale, e tre poli forti in corsa, il rischio che dalle urne di domenica non esca una maggioranza chiara è molto alto. Come ripetuto fino allo sfinimento da tutte le forze politiche, all’indomani del voto sarà il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, a doversi districare tra seggi e percentuali per individuare chi abbia la possibilità di trovare una maggioranza in Parlamento. E a oggi, alla vigilia del voto, si direbbe che le carte nelle sue mani in caso di stallo siano essenzialmente quattro. Quattro ipotesi diverse che proviamo a spiegare in questa pagina.
È l’ipotesi più dibattuta da tempo, già collaudata perché ricalcherebbe la soluzione individuata all’inizio di questa legislatura: quella di un esecutivo di larghe intese tra Forza Italia, spogliata degli alleati Salvini e Meloni, e la coalizione di centrosinistra del Pd. In campagna elettorale nessuno degli interessati può lasciare spiragli a questa soluzione, ma è pur vero che entrambe le forze politiche vogliono accreditarsi come quelle moderate e responsabili: in caso di stallo, potrebbero sempre dire che lo fanno per il bene del Paese. «Non faremo mai un governo con gli estremisti», ha ripetuto in questi giorni il segretario del Pd Matteo Renzi, rigettando lo scenario di un’alleanza di necessità con il centrodestra.
Ma è difficile credere che consideri tali anche Berlusconi e il suo partito, se sciogliessero il vincolo stretto in campagna elettorale con Lega e Fratelli d’Italia. E l’ex Cavaliere, spesso sollecitato sul punto, trova «difficile» poter recuperare un rapporto con il giovane ex premier, guastato ai tempi della scelta di Mattarella al Quirinale: ma non perde occasione per riconoscergli «il merito di aver tagliato il cordone ombelicale col passato comunista del suo partito».
2. Esecutivo sovranista Lega-Cinque Stelle
Più remota ma non impossibile l’ipotesi di un governo sovranista, che potrebbe coinvolgere Lega e Movimento 5 Stelle. Qualche segnale di interesse, in passato, è stato lanciato dalle parti del Carroccio: per esempio quando, nell’estate del 2016, il leader Matteo Salvini dichiarò pubblicamente che, al ballottaggio di Roma e a quello di Torino, lui avrebbe votato le candidate a Cinque Stelle. O ancora, solo nell’ottobre scorso, quando disse in un’intervista che «se all’indomani del voto non dovessimo avere la maggioranza, alzerei il telefono e chiamerei Beppe Grillo». Avances sdegnosamente respinte da Di Maio e i suoi, al grido di «non facciamo alleanze coi partiti»; ma tutto potrebbe tornare in discussione ricorrendo alla formula delle «convergenze» sul programma predicate dal capo politico pentastellato. E, dal conflittuale rapporto con l’Europa – che entrambi i partiti hanno fortemente messo in discussione, salvo poi assestarsi su una posizione critica ma non di uscita oggi – alle dichiarazioni severe sull’immigrazione alla condanna della legge Fornero, punti di contatto non sarebbero difficili da individuare.
3. Tutti contro il centrodestra: Pd-M5S-LeU
Il collante di questa terza ipotesi sarebbe l’antiberlusconismo. Potentissimo per vent’anni nel tenere uniti pezzi di centro e di sinistra che poco altro avevano in comune – le famose coalizioni dall’Udeur a Rifondazione – potrebbe oggi creare il minimo comune denominatore di un governo di M5S, Pd e Liberi e Uguali. Sedendosi a un tavolo, come ritiene necessario Di Maio, per firmare un contratto sul programma, il primo punto sarebbe la riforma del conflitto di interessi. Renzi taglia corto: «Se i Cinque Stelle avranno i numeri per governare, noi faremo l’opposizione; se non li avranno, non possono certo venire a chiederli a noi». Ma la scommessa di molti, nel Pd e fuori, è che dopo le urne l’ex premier possa essere ridimensionato nel suo partito, dove invece l’ipotesi di sostegno al M5S non è scartata da tutti: Michele Emiliano ne ha già parlato. E, dalle parti di LeU, a guardare con grande rispetto ai grillini è stato sempre Bersani, che un governo con loro lo avrebbe fatto nel 2013. Una triangolazione difficile ma non impossibile.
4. Governo di scopo solo per cambiare la legge elettorale
L’ultimo a definire questa come la soluzione migliore in caso di impasse post-elettorale, è stato il primo segretario del Pd, Walter Veltroni. «Se non c’è maggioranza chiara, serve fare una legge elettorale con un premio di maggioranza e tornare alle urne», ha suggerito solo pochi giorni fa. E non è stato l’unico: molti in queste settimane hanno evocato un governo di scopo, o un governo del presidente, inteso come Mattarella. Un esecutivo con pochi obiettivi chiari e un ampio sostegno delle forze presenti in Parlamento. Una squadra che da Palazzo Chigi consenta al Paese di essere governata, mentre Camera e Senato si applicano ad una riforma del sistema elettorale capace di garantire una maggioranza chiara. Non appena approvata la legge, si dovrebbe a quel punto tornare a votare. Un’ipotesi simile però, appunto, richiede per sua natura un’ampia collaborazione delle forze politiche: tutte, a quel punto, sarebbero invitate a «sporcarsi le mani» garantendo la fiducia a questo governo.
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