Pec: l’Agenzia delle Entrate, la Consob e la difficoltà di aprire una posta elettronica certificata
Questa storia, e quella della Pec, sono lo specchio perfetto di come funziona la pubblica amministrazione in Italia. Introdotta dal decreto del Presidente della Repubblica n.68 del 11/02/2005 per sostituire digitalmente le raccomandate, aveva 6 obiettivi: il valore legale della mail, l’integrità del contenuto, la certificazione dell’invio e della consegna, la certezza dell’identità di mittente e destinatario. Una buona idea, ma pressoché ignorata.
Dieci anni di tira e molla
Pensando di dare un’accelerata, nel 2009 l’allora ministro per la Pubblica Amministrazione e l’Innovazione, Renato Brunetta, decide di lanciare un progetto parallelo, la Cec-Pac: una casella di posta certificata e gratuita per comunicare con la pubblica amministrazione. Gli obiettivi erano ambiziosi: attivare almeno 10 milioni di caselle attivate nel primo anno. Nel 2014 le caselle aperte erano appena 2.121.915. Di queste, l’82% non aveva mai inviato messaggi. I costi, invece, erano altissimi: 19 milioni di euro per un servizio praticamente inutilizzato. Così viene avviata la dismissione e, dal 18 settembre 2015, sono stati cancellati tutti gli account esistenti.
La Consob: «Mandi anche il cartaceo»
Ci sono voluti 12 anni, abbiamo buttato via un po’ di soldi, ma finalmente il sistema funziona. Con un «però», che riguarda l’analfabetismo digitale dei dipendenti della pubblica amministrazione, spesso in là con gli anni, e affetti da pigrizia cronica. La Consob, ad esempio, richiede che i documenti vengano mandati via Pec, ma anche in forma cartacea: immaginiamo per evitare di stampare o scansionare il materiale ricevuto. L’Agenzia per l’Italia digitale effettua controlli sui gestori, ma non ha compiti di vigilanza sul comportamento della pubblica amministrazione. Spetta al cittadino far valere i propri diritti, con in mano la ricevuta della Pec.
La morale di questa storia è che nei palazzi romani, molto spesso, la mano destra non parla con la sinistra, mentre negli uffici pubblici gli amministrativi non parlano con la tecnologia. Qualcuno ha calcolato l’impatto economico derivante dal risparmio di tempo nella gestione delle pratiche? Quante cartelle pazze nascono da una mancata padronanza informatica? Quanti processi non finirebbero in prescrizione se nelle procure e tribunali il personale amministrativo avesse maggiore dimestichezza digitale? E allora assumete proprio i nativi digitali, che ormai hanno 30 anni, e magari le cose dentro quegli uffici marceranno più velocemente.
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