Da Saragat a Salvini, vi spiego perché votiamo Lega
–dall’inviato Marco Alfieri, foto di Fabrizio Annibali
«Votiamo Lega perché i nostri politici non saranno delle cime ma fanno le cose col cuore, per i nostri paesi. E poi ci conosciamo tutti, non potrebbero mai sgarrare perchè li andremmo a prendere a casa…». Renzo Martin, 60 anni rotondi e una barba bianca soffice che gli incornicia il volto, è il profilo di militante leghista che ti aspetti se conosci la Marca trevigiana ma il più distante possibile dagli stereotipi che circolano tenacemente, ancora venticinque anni dopo il boom del Carroccio, dalle parti di Roma e di Milano e dei circoli intellettuali del nostro paese. Nessun anello al naso o idee particolarmente strambe, nessun suprematista bianco della porta accanto bensì ceto medio di provincia, gente a posto che lavora, l’oratorio e la Pro loco, volontari del sangue all’Avis, la Messa la domenica mattina e la squadra di calcio del paese nel pomeriggio. La tipica famiglia operosa che trent’anni fa avrebbe votato Democrazia cristiana. Anzi, socialdemocratico. «Da giovane avevo una simpatia per Saragat», confessa il signor Renzo. «Poi sono diventato leghista della prima ora, meglio ancora lighista come quasi tutti i veneti – tiene a precisare con afflato autonomista – finchè Bossi dalla Lombardia non ci ha egemonizzato».
Renzo Martin manda avanti una tipografia digitale a Ponte di Piave anche se abita nel comune attaccato di Salgareda. Ci lavora a ciclo continuo insieme alla moglie Paola e alla figlia maggiore Marta, 26 anni, diploma di ragioniera nel cassetto e «fresca di convivenza con il moroso», ammicca la signora Paola. Invece la figlia minore Maria, 23 anni, sta facendo l’università a Milano, Scienza della comunicazione allo Iulm. «Ma sono un po’ preoccupata», abbozza la signora, «ha studiato da perito, e poi Milano è tentatrice».
In tipografia sono specializzati in manuali di istruzione, lo fanno da 15 anni. In precedenza il signor Renzo ha fatto mille mestieri (lo raccontiamo dopo) tra cui il direttore di una grossa azienda: «Avevo un bello stipendio e trenta agenti sotto da far trottare ma poi ho mollato, volevo essere libero…». Renzo e Paola sono capitati a Salgareda per caso, lui da Carbonera, lei da Pordenone, perché le case costavano poco. «Vent’anni fa avevamo solo campi intorno, giravano indisturbati pernici e fagiani. Ora ci sono condomini a più non posso, abitati (anche) da russi, kosovari, albanesi. Per la maggior parte gente per bene, che lavora e fa volontariato alla Pro loco».
Si sono conosciuti perché Renzo stampava i manifesti al papà di Paola che aveva una discoteca a Cordenons. Lei aveva un bar in centro a Pordenone, «uno dei primi piano bar che usavo come fermo posta per lasciare inviti e volantini a suo padre». In quel periodo il signor Renzo faceva due lavori: «Tornavo a casa la notte dopo aver fatto il giro dei locali, mi facevo una doccia e andavo in tipografia. Sono stato uno dei primi a stampare i biglietti invito per le discoteche». È qui che ha conosciuto un giovanissimo Luca Zaia. «Io stampavo i biglietti e lui faceva il pr alla discoteca Diamantic di Gaiarine», formidabili quegli anni. «Certo ne ha fatta di strada Luca…». Renzo e Paola hanno cominciato l’attività della tipografia in una stanza di fianco all’abitazione di Salgareda. «Il lavoro girava bene così ci siamo spostati in un posto più grande qui a Ponte di Piave». Dopo pochissimo tempo il mercato è crollato, siamo agli albori della grande crisi. «Abbiamo dato fondo a tutti i nostri risparmi. Per molto tempo abbiamo portato a casa si e no mille euro ogni due mesi, poi finalmente qualcosa è ripartito, altrimenti…».
In tipografia ormai stampano di tutto: manuali per aziende, opuscoli pieghevoli, adesivi, depliant, cataloghi, tesi di laurea, magliette, gadget ma anche libri. I libri sono la vera passione della famiglia Martin. Qualche anno fa hanno fondato una piccola casa editrice, la Piave editore. «Stampiamo libri in 30-50-100 copie al massimo, piccole tirature ma vuoi mettere la soddisfazione degli autori? Facciamo una quindicina di titoli l’anno, scrittori e amatori locali che stampano e vendono agli amici e al loro piccolo giro». Alle pareti della tipografia sono appesi quadri e poster di amici, copie di copertine incorniciate, ritratti di cani, qualche madonna con bambino, la corale del paese, una foto di una partita di calcio dei giochi della gioventù che ritrae il signor Renzo ragazzino – «guardate su che campi giocavamo» – e alcune istantanee del fronte del Piave durante la Grande Guerra, con i paesi rasi al suolo. «Qui davanti c’era un canale per questo la via della tipografia si chiama Sotto Treviso». Oggi Salgareda è spostata di 3 chilometri rispetto all’insediamento originario. Come si capisce facilmente alla famiglia Martin piace molto il proprio lavoro. “Altrimenti avremmo già mollato tutto. Lo stipendio è da dipendente ma con le incombenze e le vessazioni che subiscono le piccole ditte artigiane. Lavoriamo 12 ore al giorno, spesso anche il sabato e la domenica, non abbiamo nemmeno il tempo di spendere», sorride la signora Paola. «Il massimo che ci concediamo è pranzare al ristorante il giovedì e il venerdì. La sera no, di solito finiamo tardi…».
Il lavoro è la vera ossessione dei veneti. Il papà di Renzo faceva il contadino, era mezzadro. «A quel tempo eravamo tutti poveri, dovevamo lavorare, ecco perché si è sviluppata l’imprenditoria, la gente anche oggi non si rassegna mai, crisi o meno». E riparte sempre. «Io invece ho cominciato a 14 anni nella tipografia di mio cugino«, racconta il signor Renzo. «A 16 anni pulivo caldaie ma già alle elementari aiutavo a riparare biciclette all’officina del paese, però non mi piaceva, non volevo fare quello tutto la vita». Comunque: «a 17 anni montavo capannoni alla Breda di Marghera, poi una domenica in discoteca incontro il mio ex titolare della tipografia di Quinto di Treviso che mi chiede se mi va di tornare. Accetto. L’ex titolare diventerà mio socio e insieme facciamo crescere la tipografia fino ad avere 50 dipendenti». Il signor Renzo ride sotto i baffi quando racconta che da queste parti hanno le idee prima di tanti colossi digitali: «Io stampavo i libri on demand 15 anni prima di Amazon, ma non siamo a Milano, non abbiamo i mezzi per fare le cose troppo in grande. Al contrario nei nostri paesi si sta ancora bene, ci si conosce tutti».
Già ma gli immigrati? A sentire Salvini è in corso un’invasione. «Molti immigrati si sono integrati bene, lavorano. Salgareda fa 5mila abitanti ma ci sono una quarantina di associazioni e tutti si danno da fare, stranieri compresi. Se vuoi integrarti ti integri. Un mio amico albanese qualche giorno fa mi ha detto, sono qui da 30 anni voglio fare qualcosa per il paese…». Il problema per la famiglia Martin sono i nuovi arrivati da poco dall’Africa. «Li hanno messi in una caserma a Oderzo ma vanno in giro tutto il giorno a fare niente, li vedi in bici o a piedi, vestiti bene con il cellulare. La situazione è un po’ fuori controllo». Intendiamoci: «Qui nessuno ti dice no però devi stare alle regole. Non siamo razzisti ma se non lavori non ti integri, questa è la verità».
Per arrivare alla trattoria «da Alcide», nel vicino comune di Monastier, ci saranno 10 minuti di auto. Durante e dopo la grande crisi il paesaggio urbano della campagna veneta è cambiato un’altra volta. Casolari vecchi, casolari ristrutturati, vecchi edifici a due piani anni settanta ormai sbrecciati, villette singole o a schiera dai colori sgargianti protette come fossero piccoli fortini, vecchie case con capannoncino incorporato sul retro ma anche ville iper moderne, eco sostenibili e minimaliste, dalle forme irregolari, che sembrano piccole astronavi atterrate in campagna. In mezzo a vitigni di prosecco a più non posso, viti basse e regolari, ordinate e ben tagliate. Solo a Salgareda ci sono 18 cantine. «La ripresa economica c’è», ammette il signor Renzo, «il peggio è alle spalle ma non è più come prima». Tra Treviso e Pordenone una volta c’era uno dei più grandi distretti del mobile d’Italia. Oggi le cose sono un po’ cambiate, la crisi ha frullato tutto e molti dei mobilifici più grossi della zona (TreB, Friul Intagli, Media Profili) sono diventati grandi fornitori di Ikea», sviluppando una logistica efficiente e sofisticata. In queste settimane ad esempio c’è un po’ di stasi, «non so perché quando ci sono le elezioni si ferma tutto», dice tradendo la diffidenza tipica veneta per le cose romane.
La visione politica della famiglia Martin è piuttosto schietta. Secondo loro i forzisti sono peggio dei comunisti, «non puoi dire nulla di Silvio che ti saltano al collo». Renzi invece si è squalificato da solo. «Aveva detto che si dimetteva se avesse perso il referendum invece è ancora lì, non ha coerenza». Anche i grillini non passano l’esame. L’ideologia dei Cinque stelle è troppo fideistica. «Un mio amico di Mirano li aveva votati, certo magari sono onesti ma poi hanno lasciato le strade rotte e non hanno combinato nulla. Mi ha detto: Renzo, non li voterò più…». E Salvini? Renzo e Paola non vedono contraddizioni tra la sua lega nazional-lepenista e il nordismo delle origini. «Guardate, se vuol fare una specie di Lega nazionale delle autonomie, io rispetto i liguri, i meridionali e tutti gli altri. Basta che ci lascino la nostra, di autonomia».
La cosa che però colpisce di più della famiglia Martin è che non usano mai la parola sinistra, o Pd, ma solo «i comunisti». Chi sta nell’altra metà del campo è semplicemente comunista, senza che questa espressione assuma un’intonazione spregiativa, anzi molte volte è bonaria, guareschiana, come quando ci raccontano del prete del paese, «che era comunista», appunto. Altra cosa singolare è che il signor Renzo ogni tanto compra il Fatto Quotidiano «che sta con i Cinque stelle ma è giusto vedere cosa scrivono degli avversari».
Più in generale le diffidenze sono quelle tipiche leghiste. La presa di distanza dalle associazioni di categoria – «sono solo carrozzoni per darsi uno stipendio» – e il fastidio per l’eccesso di tasse, la burocrazia soffocante, i politici tradizionali. E i musulmani. «Di fianco al municipio di Salgareda c’è un edificio dove si ritrovano alcune associazioni», ci confida a bassa voce il signor Renzo. «È successo che dei musulmani giravano il crocifisso, alla terza volta che accadeva l’assessore lo ha fissato al muro con il cacciavite a pressione. Non è più successo».
Dopo pranzo andiamo a casa Martin a bere il caffè. Qui ci fanno vedere dov’è comincia la tipografia, il piccolo orto, il recinto dei cani da caccia (il signor Renzo è un cacciatore) che non può più tenere perchè scappavano sempre – «adesso li tengo da mia mamma a Treviso». Nel frattempo si alza un vento gelido che taglia la faccia, ci imbacucchiamo per andare in paese a visitare il centro polivalente, sede della Pro loco. Dentro ci sono i bambini che fanno ginnastica mentre, nel retro, due pensionati stanno preparando i pannelli per la mostra fotografica sul centenario della Grande Guerra che si aprirà il 2 giugno.
Duecento metri più in là, dopo il campo sportivo, c’è la chiesa di San Michele Arcangelo dove c’è un organo piuttosto raro che vengono a suonare da tutto il mondo – «Salgareda è famosa per il canto gregoriano» – e l’oratorio appena ristrutturato. «Teniamo molto alla vita di chiesa e della comunità. Da anni stampiamo gratis il bollettino parrocchiale».
La Lega e la Grande Guerra. La Liga veneta, che ha sempre avuto una portata identitaria ben diversa di quella dei cugini lombardi, e il lepenismo di Matteo Salvini. La difesa del microcosmo e l’università a Milano, metropoli tentacolare. Il Fatto quotidiano e gli amici extracomunitari. E soprattutto il lavoro come discrimine di tutto e visione del mondo: “se lavori e ti integri sei dei nostri.” Tutti cortocircuiti che conferiscono una fisionomia di normalità al tran tran quotidiano della famiglia Martin.
Salgareda e Ponte di Piave sono stati anche i paesi di elezione di Goffredo Parise. Sull’argine del grande fiume c’è ancora la casina dove lo scrittore vicentino si ritirava in estate. L’anno scorso una brinata ha bruciato tantissimi vitigni intorno: te ne accorgi perché le viti sono tutte nere e tagliate. Il signor Renzo ha fatto anche il militare negli Alpini e ne va molto fiero. «Dimenticavo», dice salutandoci,«faccio parte anche dell’associazione radici e fagioli (radicchio e fagioli), scrivetelo. “È una cosa goliardica. Siamo quasi tutti leghisti, ma ci sono anche molti comunisti…”».
ILSOLE24ORE