Elezioni 2018, un governo difficile. I rischi, la bussola

Si profilano una vittoria del Movimento 5 Stelle in versione edulcorata, meno antisistema e quasi «di governo»; un risultato in chiaroscuro del centrodestra, con la Lega in forte crescita e Forza Italia ridimensionata; e una sconfitta da misurare nelle sue reali proporzioni per il Pd e la sinistra in generale. Ma la grande perdente del voto del 4 marzo è anche una riforma elettorale nata per fermare i grillini e costretta a registrarne i consensi intorno se non oltre il 30 per cento; e messa sotto accusa dopo i ritardi registratisi ieri in diversi seggi per schede sbagliate e procedure farraginose: un pasticcio tale che sarà necessario aspettare stasera per avere i dati definitivi. Si possono solo analizzare, dunque, le tendenze di elezioni che stanno delineando una situazione simile a quella del referendum costituzionale del 4 dicembre del 2016: nel senso che sanciscono l’affermazione delle forze estremistiche schierate allora per il No, e umiliano quelle di governo. La grande «periferia» dell’Italia, sociale, politica, economica, bussa rumorosamente alle porte di un potere che non è stato in grado di vedere quanto stava accadendo. E ora lo subisce. Ma questo non può nascondere la realtà di un Parlamento probabilmente privo di maggioranza; e di un’opinione pubblica che per circa un terzo avrebbe scelto il movimento di Beppe Grillo e Luigi Di Maio; ma per il 70 per cento si aspetta una soluzione diversa. Non sarà facile trovare la bussola.

M5S e la tensione sui mercati finanziari

I numeri parlamentari andranno letti e riletti, per riconciliare «molte Italie». La sensazione è che, se i risultati affiorati confusamente ieri notte saranno confermati, i Cinque Stelle rivendicheranno il ruolo del protagonista. Non avranno però i seggi per esercitarlo, e dunque rimane da capire quanto siano disposti a assumersi le proprie responsabilità. L’unica possibilità sarà quella di affidarsi al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Toccherà al Quirinale sondare vincitori e vinti, tutti impotenti per mancanza di una maggioranza. E cercare di portarli verso un accordo, anche limitato. Si avverte l’esigenza di scongiurare irrigidimenti tali da prefigurare un «tanto peggio tanto meglio» gonfio di incognite: e non solo da parte dei Cinque Stelle. L’ipotesi che possa nascere un governo tra loro e la Lega sembra poco verosimile. Molti voti grillini vengono dal Mezzogiorno. E Matteo Salvini, nonostante lo sforzo di «nazionalizzare» il Carroccio, rimane inviso a quell’elettorato. Ma esistono anche problemi di numeri insufficienti, e preoccupazioni strategiche. Già un Movimento Cinque Stelle come primo partito spaventa l’Europa, e può creare tensioni sui mercati finanziari. Negli ultimi mesi Di Maio ha compiuto una vistosa inversione a U, passando da un referendum contro l’euro a un europeismo ostentato. La svolta, tuttavia, rassicura solo in parte. Il patto con una Lega antieuropea evocherebbe uno scenario che definire populista è poco. Dunque, i tentativi di trovare una coalizione larga dovranno guardare in tutte le direzioni: forse partendo da una sinistra ai minimi termini. La premessa non sono solo i voti raccolti ma i seggi ottenuti: con la coscienza di dovere rispondere a un evidente rischio di instabilità con una grande prova di responsabilità.

CORRIERE.IT

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