Il sondaggio segreto nella base spinge il Movimento 5 Stelle verso la Lega
C’è un sondaggio segreto, in mano a Luigi Di Maio, che potrebbe cambiare da qui a qualche settimana le strategie del M5S. Ma che nell’immediato rischia di cambiare la percezione sulla probabilità dei vari scenari di governo. Il sondaggio, commissionato dai vertici del M5S, rivela un elettorato spaccato quasi a metà, ma pare leggermente più propenso ad allearsi con la Lega di Matteo Salvini che con il Pd, anche senza Matteo Renzi. Però in politica tutto può cambiare da un giorno all’altro. I tempi dello stallo istituzionale possono essere lunghi ma, trascinandosi, anche capovolgere improvvisamente gli orizzonti delle possibilità, soprattutto se si è in grado di restare, come Di Maio, in equilibrio tra due ipotesi così diverse.
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Avere pronto un sondaggio che spinge il M5S verso la Lega, da tirar fuori al momento opportuno, può rivelarsi molto funzionale alla politica dei due forni che i grillini stanno conducendo nella loro fermezza, che appare immobilità ma che non è tale. È anche una pronta risposta all’appello alla responsabilità rivolto ai partiti da Sergio Mattarella.
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«Noi ci siamo, siamo responsabili e siamo l’unico fattore di stabilità tra i partiti» sostengono Di Maio e i parlamentari a lui più vicini, come Danilo Toninelli che ieri al Tg1 ha ribadito la volontà di dire «no al caos e all’instabilità». Se sarà con il Pd, bene. Altrimenti il M5S cercherà di chiudere con Salvini. Una strada che non è certo semplice, considerando che il leghista ha lanciato un’Opa sul centrodestra e non può permettersi di essere fagocitato in un governo dove sarebbe comunque il socio di minoranza.
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I 5 Stelle hanno segnato in rosso sull’agenda la data di lunedì, quando il Pd si riunirà in direzione. Da lì potrebbe arrivare qualche risposta, o almeno qualche segnale dai capicorrente, anche se nel M5S sono sempre più convinti che la guerra a Renzi porterà frutti solo più avanti. C’è abbastanza tempo? Di Maio appare confortato dalla presenza di Mattarella. Continua a dire di nutrire massima fiducia nel Capo dello Stato, e tra i due si è consolidata una stima su cui il grillino conta molto ma che lo metterebbe in difficoltà di fronte a un richiesta avanzata dal presidente di far partecipare il M5S a un governo di scopo per cambiare la legge elettorale e poi tornare subito al voto. È un retropensiero che i grillini stanno coltivando, mentre proseguono i contatti con i senatori della Lega. Da quello che si apprende, finora i discorsi si sono limitati ad alcuni ragionamenti sugli effetti del Rosatellum e alle possibili intese sulle presidenze di Camera e Senato.
Non è semplice, ora, per i grillini, parlare schiettamente di alleanze con il Carroccio. Anche perché sull’argomento ci sono spaccature rilevanti tra i leader più riconosciuti, note anche al Colle. Roberto Fico, com’è noto, guida la truppa dei contrari. Inoltre, le preferenze del gruppo parlamentare storico sono più orientate a sinistra, perché la sua composizione è il prodotto della prima fase, quella del 2013, più movimentista. Ma è anche vero che i parlamentari uscenti sono solo un’ottantina sugli oltre trecento eletti. Tutti gli altri sono debuttanti e Di Maio li conoscerà oggi, alla prima assemblea programmata, che si terrà all’Hotel Parco dei Principi di Roma.
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I sostenitori del «mai con la Lega» ribattono che il M5S è stato votato in massa al Sud e che una buona fetta del nuovo elettorato proviene dal Pd, attratto molto probabilmente anche dall’idea di tamponare con il voto ai grillini l’avanzata di Salvini. Una lettura che però stride con il risultato del sondaggio sulle alleanze preferibili. A dare una mano a Fico e alla fronda pro-Pd, ci provano i leader della sparuta pattuglia di Liberi e Uguali, nella speranza di persuadere gli ex compagni dem. Stefano Fassina: «Non possiamo essere equidistanti tra Di Maio e Salvini. Noi dobbiamo dare disponibilità al M5S a un confronto di merito» perché «ha intercettato la domanda di alternativa del popolo tradito dalla sinistra». Ci sono punti condivisi, ragionano in LeU, e di fronte a questa sfida «appare sciocco – sostiene Nicola Fratoianni – l’approccio vendicativo di Renzi».
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