Gli affari pericolosi degli italiani scomparsi nel Messico dei narcos

Paolo Mastrolilli
inviato a Tecalitlán (messico)
 

Qualche mese fa, la procura dello stato messicano di Tabasco ha accusato il Cartel Jalisco Nueva Generación di praticare il cannibalismo, come rito di iniziazione per i nuovi membri. Questi sono i criminali che potrebbero aver messo le mani sui tre italiani spariti nel paese di Tecalitlán. E così si capisce perché gli stessi investigatori stiano perdendo la speranza di ritrovarli vivi, più passa il tempo e più l’impresa sembra impossibile.

 Andare in questo villaggio di sedicimila anime, due ore di strada a Sud di Guadalajara, dà l’impressione di viaggiare nel tempo verso il Messico raccontato da Graham Greene nel «Potere e la gloria». Un arco piazzato all’ingresso del paese si vanta con i visitatori che Tecalitlán è «la patria dei migliori mariachi del mondo», i musicisti tradizionali. Dopo pranzo tutti i negozi chiudono fino alle cinque, perché qui la siesta comandata dal caldo è ancora sacra. La piazza centrale però, un quadrato col municipio su un lato, la chiesa di Santa Maria de Guadalupe sull’altro, e i portici coloniali a contornare i giardinetti con la bandiera tricolore, è presidiata dagli agenti della polizia statale di Jalisco, che tengono bene in mostra i loro fucili automatici. Ogni tanto passa un camion dell’esercito, con la mitragliatrice montata ad alzo zero.

Stato d’assedio

Il paese è in stato d’assedio e le forze dell’ordine locali sono commissariate, da quando il 31 gennaio scorso sono spariti prima Raffaele Russo, napoletano di 60 anni, e poco dopo suo figlio Antonio e suo nipote Vincenzo Cimmino, 25 e 29 anni. Quattro agenti della polizia di Tecalitlán, Emilio «N», Salomón «N», Fernando «N» e Lidia «N» («N» è la formula che usano gli inquirenti per non rivelare i cognomi), hanno ammesso di averli venduti alla criminalità per l’equivalente di 43 euro, salvo poi denunciare di aver confessato sotto tortura. Criminalità qui significa il Cartel Jalisco Nueva Generación (CJNG), ex braccio armato di Sinaloa fondato per ammazzare i rivali Los Zetas, che dopo la cattura di El Chapo si è messo in proprio per diventare il clan dominante del Messico. Una guerra che ha fatto oltre 200.000 vittime negli ultimi dieci anni, con il record di 25.000 omicidi nel 2017. Il capo della polizia municipale Hugo Martinez Muniz, nominato dal sindaco Victor Diaz Contreras, è scomparso pure lui, e tutti gli altri agenti di questo corpo composto da 33 persone sono stati trasferiti in una caserma di Guadalajara, in teoria per riaddestrarli, in pratica per tenerli sotto controllo. La polizia dello stato di Jalisco e l’esercito sono subentrati al loro posto, per dare un minimo di sicurezza a questo villaggio, che secondo una fonte investigativa «sta nell’occhio del ciclone della lotta tra i cartelli». Negli ultimi mesi qui sono state distrutte oltre 10.000 piante di marijuana, piantagioni di papavero, e mille chili di metanfetamine.

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Ma perché i tre italiani si sono cacciati in questo inferno? La famiglia dice che commerciavano in generatori di elettricità, però la storia è più complessa. Raffaele Russo aveva precedenti penali in Italia ed era ricercato a livello europeo per truffe ai danni di anziani. Un paio d’anni fa era già stato arrestato a Campeche per falsificazione, truffa e tentativo di corruzione di pubblico ufficiale. Una donna venezuelana che si era presentata come sua ex moglie per fare la denuncia, aveva mentito agli investigatori sulla sua attività, dicendo che gestiva una pizzeria.

Il sistema

Il meccanismo del traffico era molto sofisticato. I macchinari venivano acquistati in Cina, e trasferiti via nave nei Paesi di destinazione. In Messico arrivavano a Veracruz dall’Atlantico, e Lazaro Cardenas dal Pacifico. Poi la merce era sdoganata e trasferita nei magazzini, dove venivano falsificati con grande accuratezza i marchi di fabbrica, le fatture d’aquisto e i certificati di garanzia, facendoli apparire come legittimi prodotti di Bosch, Caterpillar, Yamaha. Da li partivano con i pick up per essere piazzati. Il venditore raccontava sempre la stessa storia: c’è stata una fiera della Bosch, invece di riportare indietro i generatori li offriamo qui. Non pagando le tasse, li diamo sotto prezzo: 2000 dollari invece di 10.000. Un affarone.

Il progetto era troppo vasto per essere gestito da tre persone. Infatti pochi giorni fa un altro napoletano di 24 anni con precedenti penali è stato arrestato a Guanajuato, per lo stesso genere di truffa. Tre anni fa, invece, era scomparso a Veracruz Roberto Molinaro, il cui corpo non è mai stato ritrovato che aveva legami con la famiglia Russo. Le autorità italiane hanno ricevuto denunce simili in tutto il mondo, dal Ghana agli Usa, e ora stanno cercando di capire se dietro c’è la camorra o altro.

Non essendo quello che dicono, spesso questi macchinari si rompono in fretta. I clienti in genere sono abitanti sprovveduti di regioni rurali, e restano fregati. Stavolta però i tre avrebbero sbagliato obiettivo. Gli inquirenti pensano che abbiano venduto a qualcuno legato al CJNG, che avendo l’obbligo di proteggere gli abitanti della sua zona li ha puniti.

Ma perché il cartello ha comprato Antonio Russo e Vincenzo Cimmino dalla polizia locale, invece di rapirli direttamente? «Qui – spiega una fonte investigativa – vige la legge “plata o plomo”: o prendi i soldi dai narcos, e lavori per loro, o prendi il piombo. I poliziotti municipali guadagnano meno di 200 euro al mese, e quindi è facile convincerli. Lavorano tutti per i cartelli». Il controllo del territorio è assoluto, attraverso gli «halcones», gli informatori che sono persone comuni e vedono tutto. Hanno notato Antonio e Vincenzo che facevano benzina al distributore di Tecalitlán, e chiedevano di Raffaele. Hanno chiamato la polizia corrotta, e il cerchio si è chiuso.

Domandare per strada se qualcuno sa qualcosa significa consegnarsi ai narcos. Il parroco di Santa Maria de Guadalupe, che non è il «whiskey priest» dannato e coraggioso di Graham Greene, dice che ha appreso la notizia solo dai giornali: «È quanto dicono da Città del Messico, che li hanno rapiti. Dicono». Il sindaco Contreras, che ha nominato il capo della polizia municipale sparito, si limita a questo: «I tre rapiti sono passati sul nostro territorio per fare benzina. Del resto non so nulla. Ma posso assicurarvi che è stato un caso isolato». Affermazione facilmente smentita dal manifesto appiccicato proprio sul muro del suo comune, che denuncia la scomparsa del diciassettenne Ulises Cardona, sparito pochi giorni prima dei tre napoletani.

Le indagini

Le autorità italiane stanno lavorando molto attivamente con quelle messicane. I famigliari di Russo hanno chiesto al ministro degli Esteri Alfano di inviare una task force per aiutare le ricerche, ma ci sono limiti posti dalle leggi internazionali. La polizia locale era complice, però in Messico ci sono tre livelli di sicurezza: 4300 commissariati municipali, 32 polizie dei singoli stati, e la Polizia federale che è come l’Fbi americana. Il governo centrale, quello dello stato di Jalisco e la Fiscalia, cioè la procura, vogliono risolvere il caso perché compromette l’immagine del Paese. Il problema sono le aspettative. Il procuratore regionale di Jalisco, Fausto Mancilla, dice che sta cercando altri quattro complici, tra cui un certo don Ángel, che sarebbe il referente dei narcos nella zona. Questa è la parte dell’inchiesta sui mandanti del rapimento. Mancilla spera ancora di trovare i rapiti vivi, «perché non ci sono prove che siano morti». Ma il Cartel Jalisco Nueva Generación è noto per la sua ferocia. Nel maggio scorso la procura dello stato meridionale di Tabasco ha rivelato che due membri di 16 e 17 anni, drogati con crack e anfetamine, sono stati costretti a tagliare e mangiare la carne di un rivale ucciso, come rito di iniziazione. E se il rapimento dei tre napoletani era a scopo di estorsione, non si capisce perché dopo quasi un mese e mezzo nessuno abbia ancora chiesto il riscatto.

LA STAMPA

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