Renzi molla e non si ricandida: ora pensa a un suo partito

Ancora non è chiaro cosa succederà esattamente nella Direzione di lunedì, figurarsi nelle trattative su eventuali governi.

Eppure nel Pd c’è già chi lavora per dare al partito un nuovo segretario, capace di chiudere l’era Renzi senza alienarsi troppo la base renziana. Una figura che sia fuori dalla solita foto di gruppo del «caminetto» degli eterni capicorrente, che coniughi l’anima più liberal con quella più moderata con una spruzzata di sinistra. Un papa straniero, come si diceva una volta. Così, nei conciliaboli che si susseguono tra i big del Partito democratico continua a rimbalzare il nome di Carlo Calenda, dinamico ministro con grande visibilità mediatica e presenza di successo sui social, impegnato a difendere i lavoratori e l’italianità delle aziende in crisi, che si è appena iscritto al Pd, nel momento più difficile, con un gesto che ha suscitato applausi nella nomenklatura e gratitudine nel popolo dem. Un gesto che non è nato però dall’impulso di un momento, ma che è stato discusso e condiviso con una serie di interlocutori di peso, a cominciare dal premier Gentiloni. Ma sul nome di Calenda ci sarebbe già il via libera di personaggi che contano parecchio: da Walter Veltroni a Romano Prodi, fino all’appena rieletto governatore del Lazio Nicola Zingaretti.

E anche il capo della minoranza di sinistra Andrea Orlando lancia un segnale di apertura: «È una personalità che può dare un contributo importante al Pd, ha idee diverse dalle mie ma il partito deve essere plurale: è un carattere che dobbiamo recuperare, perché il partito non può essere il luogo della dittatura della maggioranza, dove chi non è d’accordo non ha alcuna possibilità di incidere». Quindi, «se si vuole candidare alle primarie, è suo diritto farlo».

Lunedì Calenda debutterà alla Direzione del Pd, di cui da ministro del partito entra a far parte di diritto: «Non parlerò, però, visto che è la prima volta», dice. Ma la sua presenza sarà un segnale significativo, che lo fa entrare a pieno titolo nel vertice dem, e che prepara il terreno a un’eventuale discesa in campo. Va fissata l’Assemblea nazionale, che potrà eleggere il nuovo segretario che durerebbe fino al 2021 (ossia la data alla quale sarebbe scaduto il mandato di Renzi) o indire un vero e proprio percorso congressuale, con relative primarie, per un mandato nuovo. Anche se c’è già chi fa notare che «con questo sistema elettorale proporzionale, che senso hanno le primarie per un leader candidato premier?».

Dell’operazione Calenda è ovviamente al corrente anche Matteo Renzi: e forse non è un caso se ieri il capogruppo uscente del Pd, Ettore Rosato, ha tenuto a dire che «Renzi ha già detto che non si ricandida alle primarie, non vuole fare il segretario: ha fatto la sua parte». Come dire che una stagione è chiusa. Così come non è un caso che Luca Lotti, braccio destro del segretario dimissionario, abbia lanciato un attacco durissimo a una serie di big (da Orlando a Franceschini ad Emiliano), chiedendo un «dibattito nel Pd» sul risultato elettorale: «Almeno avremo modo di parlare di chi ha perso nel collegio di residenza ma si è salvato col paracadute, di chi non ha proprio voluto correre e di chi invece ha vinto correndo senza paracadute». Una bordata a largo raggio per dire che Renzi non ci sta a fare il capro espiatorio della «disfatta» che gli imputa Orlando. E, anche se il segretario uscente smentisce, continua a circolare l’ipotesi che i renziani diano vita a una propria «associazione». I parlamentari che fanno riferimento a lui sono – sulla carta – la maggioranza, e nessuno esclude che di qui alle prossime settimane, quando arriverà il momento delle scelte sugli assetti e il governo, si consumi una spaccatura clamorosa.

IL GIORNALE

Rating 3.00 out of 5

No Comments so far.

Leave a Reply

Marquee Powered By Know How Media.