Legge elettorale con la Lega. Di Maio ora lavora al piano B
Dopo la doccia fredda dell’esito della direzione del Pd che chiude a ogni ipotesi di intesa, la pazienza della leadership grillina sta per finire. E Luigi Di Maio sarebbe intenzionato ad anticipare il suo piano B, quello che con i suoi uomini aveva definito l’«extrema ratio»: chiudere un accordo con la Lega su una legge elettorale con premio di maggioranza e tornare al voto entro un anno. Per realizzarlo però serve un governo. E vista l’irriducibilità degli avversari, il M5S sarebbe pronto a dare un sostegno esterno a un esecutivo non politico, del Presidente, cioè garantito da Sergio Mattarella, con tutti dentro e con un solo scopo: cambiare le regole del gioco.
L’accelerazione di queste ore è legata alla direzione Pd. Vedere una chiusura netta a qualunque ipotesi di un’alleanza con i grillini, ha stizzito il vertice del M5S. Le mosse sono state rapide, come le telefonate. Gli emissari di Di Maio e di Matteo Salvini si sono sentiti e hanno firmato la prima intesa, anticamera al patto finale.
Se tutto sarà confermato, la presidenza del Senato dovrebbe andare a Danilo Toninelli, e quella della Camera al leghista Giancarlo Giorgetti. Un capovolgimento dell’opzione iniziale che prevedeva Roberto Calderoli a Palazzo Madama e il grillino Emilio Carelli a Montecitorio. Ma da ambienti leghisti raccontano di una forte insistenza dei 5 Stelle per avere la camera alta. Il motivo? La convinzione che se si dovesse tentare un mandato esplorativo, sarà meglio farlo da protagonisti ma con la copertura istituzionale della seconda carica dello Stato, per evitare di bruciare, con un azzardo politico, Di Maio.
Alla chiusura della direzione dem, Di Maio irrompe furioso su Twitter: «Gli italiani si aspettano responsabilità da chi ha fatto questa legge elettorale, ma assistiamo ai soliti giochi di potere sulla pelle dei cittadini». Citando il Rosatellum come causa della palude, lascia una traccia che porta dritto al dialogo aperto con la Lega. Poche ore prima era stato Luca Zaia, governatore del Veneto, leghista, a sostenere come unica alternativa a un esecutivo guidato dal capo del Carroccio, «un governo politico a tempo per fare la legge elettorale e andare a votare».
Il M5S ci starebbe ma a condizioni ben precise: il governo non dovrà essere «politico», nessun ministro del M5S dovrà farne parte, ma anche nessuno degli altri partiti; dovrà essere coinvolta anche la Lega, perché i grillini non vogliono dare un vantaggio competitivo all’avversario, e dovrà avere una data di scadenza che corrisponde all’approvazione della legge elettorale. Di questo piano sono informati pochissimi oltre a Di Maio. Tra questi, almeno due ministri-ombra pesanti della squadra di governo presentata prima del voto. Entrambi confermano alla Stampa il patto con Salvini: «Sarebbe un esecutivo breve, a cui il M5S darebbe una sorta di appoggio esterno, che servirà a disinnescare le clausole di salvaguardia e a inserire un premio di maggioranza per chi prenderà il 40%».
È l’unica formula che non risulterebbe indigesta a Di Maio, perché evita la contaminazione politica del M5S in un governo dove non sia lui il premier. E deve prevedere l’assoluta certezza che anche la Lega sarà pronta a levargli l’appoggio nel caso in cui il premier non si dimettesse, una volta raggiunti gli obiettivi di una manovra economica light e dei correttivi alla legge elettorale. La Lega nel frattempo avrebbe compiuto l’opera di egemonizzazione del centrodestra. E il nuovo bipolarismo, che è già all’orizzonte, si strutturerebbe come realtà: «Con il premio al 40% ce la potremmo giocare solo noi e la Lega», è il ragionamento Di Maio, pronto a scippare un altro pezzo di elettorato al Pd e alla sinistra. In fondo, il sostegno percepito da parte della Chiesa, l’ammorbidimento dei toni sui migranti, la svolta governista sulle Olimpiadi e la linea soft su euro ed Europa, sono il terreno sul quale Di Maio si sta già costruendo come alternativa a Salvini per le prossime elezioni.
LA STAMPA