Maxi blitz contro i fiancheggiatori di Messina Denaro: 12 arresti. C’è anche il “re dell’eolico”

rino giacalone

Ci sono nomi “pesanti” nell’operazione antimafia che la scorsa notte ha decapitato Cosa nostra trapanese pronta a risorgere dopo le scarcerazioni degli ultimi mesi. C’è il nome del «re dell’eolico», l’imprenditore alcamese Vito Nicastri, che dopo le maxi confische subite era riuscito a tenere nascosta un’ulteriore cassaforte da dove ha tirato fuori i soldi per mantenere la latitanza del capo della cupola provinciale, il boss Matteo Messina Denaro. Soldi consegnati nel 2014 dal capo mafia di Salemi Michele Gucciardi a Francesco Guttadauro, nipote del capo mafia di Castelvetrano, quei soldi fu detto espressamente arrivavano da Vito Nicastri che è stato arrestato assieme a suo fratello Roberto.

 In cella sono finiti gli eredi del capo mafia Leonardo Crimi, il figlio Salvatore, la moglie Concetta Asaro e l’omonimo nipote del defunto boss. Ma tra i nomi citati nell’ordinanza del gip Nicastro del Tribunale di Palermo spuntano quelli della famiglia D’Alì, i fratelli Giacomo e il senatore Antonio, ex sottosegretario all’interno, seguito e fotografato a incontrare i mafiosi di Vita e Salemi per trattare la vendita di terreni.

 

L’indagine è stata avviata nel 2014 e ha fotografato l’attualità dell’organizzazione mafiosa trapanese, e in particolare quella dei centri agricoli di Vita e Salemi, capace di arrivare ancora fin dentro i più importanti salotti della provincia, e come fine il controllo di filiere agricole e commerciali. Sullo sfondo il favoreggiamento da continuare a garantire a Matteo Messina Denaro, latitante dal 1993, al quale attraverso le attività controllate sono stati fatti arrivare ingenti quantitativi di denaro.

 

Gli arrestati, servendosi anche di professionisti nell’ambito di consulenze agricole e immobiliari, tra i quali ci sarebbe stato un noto faccendiere mazarese Salvatore Calvanico, una volta braccio destro dell’ex governatore Totò Cuffaro, sono riusciti, attraverso società di fatto riconducibili all’organizzazione mafiosa ma fittiziamente intestate a terzi, a realizzare notevoli investimenti in colture innovative per la produzione di legname nonché in attività di ristorazione. Le indagini, sostenute anche dalla collaborazione del defunto imprenditore di Castelvetrano, Lorenzo Cimarosa, cugino del capo mafia Messina Denaro, e dei nuovi pentiti Attilio Fogazza e Nicolò Nicolosi, hanno permesso di scoprire come Cosa nostra trapanese, attraverso i fratelli Nicastri, sia riuscita a mettere le mani sui possedimenti terrieri appartenuti alla famiglia degli esattori Salvo di Salemi. Come a dire che quei terreni non dovevano sfuggire al controllo della mafia. Tutti affari ordinati attraverso i “pizzini” dal latitante Matteo Messina Denaro. Boss che non si è dimenticato dei complici di sempre, una parte dei soldi guadagnati sono finiti anche a Epifanio Agate, figlio del defunto capo mafia di Mazara, Mariano Agate.

 

Un’indagine che arriva fino a Trapani, dove nuovo capo mafia, come indicato dal pentito Cimarosa, sarebbe Franco Orlando, ex consigliere comunale del Psi, uomo d’onore riservato per volere di Messina Denaro. E a Trapani il clan risulta avere intavolato trattative per l’affitto di un’ampia estensione terriera di proprietà della famiglia D’Al’ì, e nel settembre 2014 proprio il senatore D’Alì è stato visto incontrarsi con i mafiosi adesso arrestati, tra i quali il calatafimese Girolamo Scandariato, per contrattare l’affitto dei suoi terreni destinati a ospitare un impianto di “paulownia”, alberi destinati alla produzione di pregiato legname. D’Alì, che non si è ricandidato alle nazionali, dopo una parentesi parlamentare ininterrotta dal 1994, è oggi sottoposto a un procedimento per l’applicazione dell’obbligo di dimora e a breve tornerà sotto processo dinanzi alla Corte di Appello di Palermo, imputato di concorso esterno in associazione mafiosa.

 

L’operazione denominata “Pionica”, dal nome di una ricca contrada agricola di Salemi, è stata eseguita nella notte dai Carabinieri del comando provinciale di Trapani, dai Ros e dagli agenti della Dia, ha visto impiegati oltre 100 uomini, 12 le ordinanze di custodia cautelare in carcere emesse dal Gip su richiesta del procuratore Francesco Lo Voi e dell’aggiunto Paolo Guido della Dda di Palermo. In generale per tutti le accuse di associazione mafiosa, estorsione e favoreggiamento nonché fittizia intestazione di beni. Sono stati sequestrati tre complessi aziendali, comprensivi dell’intero complesso immobiliare nonché dei relativi mezzi d’opera, fittiziamente intestate a terzi ma ritenute strumento per il perseguimento dei fini economici dell’organizzazione criminale.

LA STAMPA

Rating 3.00 out of 5

No Comments so far.

Leave a Reply

Marquee Powered By Know How Media.