Il Colle non metterebbe veti a un’intesa M5S-Lega. Ma niente voto-bis in ottobre
Perlomeno incominciano a parlarsi: sulle presidenze delle Camere adesso tutti colloquiano con tutti. Addirittura, i grillini hanno avuto un fugace incontro con i rappresentanti di Berlusconi, incarnazione ai loro occhi del Male. Da qui a immaginare che la formula di governo si troverà magicamente, ce ne vuole. Tuttavia, nella prospettiva privilegiata del Quirinale, guai a sottovalutare questo primo impatto dei partiti (e dei rispettivi leader) con la realtà dei numeri, che costringe a rinfoderare i toni più scostumati. Tantomeno, visto da lassù, va sottovalutato il metodo «istituzionale» cui i protagonisti assicurano di volersi ispirare, per cui nessuno mira più a fare l’asso pigliatutto e anzi, dopo 25 anni di prepotenze, finalmente si parte dall’assunto che i presidenti delle Camere dovranno essere figure di garanzia (lontano da orecchie indiscrete, nell’incontro con Toninelli e Giulia Grillo, l’«azzurro» Brunetta ha riconosciuto che non fu una bella pagina quando il centrodestra bocciò, nel ’94, un personaggio indipendente come Spadolini e da lì nacque il bipolarismo muscolare).
L’aspettativa ora è che metodi più inclusivi, linguaggi più consoni e una ritrovata disponibilità a parlarsi faciliti ulteriori colloqui, stavolta sul governo da dare all’Italia, incominciando dalle cose da fare. Chi frequenta il Colle garantisce che da quelle parti l’apertura è massima: non ci sono nomi o alleanze contro cui Mattarella si metterebbe di traverso.
È la famosa «pagina bianca» di cui parlò a San Silvestro. Nemmeno su un accordo M5S-Lega il capo dello Stato avrebbe pregiudizi, questo assicurano fonti ben attendibili. Se dall’estero venissero sollevate obiezioni, certo ne terrebbe conto ma fino a questo momento, così risulta, nessun allarme specifico è risuonato nel palazzo presidenziale. Anzi, si narra che certi ambasciatori europei, con il solito pragmatismo misto a cinismo, siano parecchio interessati a farsi amici i cinquestelle, non si sa mai.
Comportamenti seri
L’unica condizione che Mattarella pretenderebbe da chiunque, secondo chi lo conosce da tempi immemori, è un certo tasso di serietà. Prima di assegnare l’incarico, il presidente formulerebbe le classiche tre domande che sempre i suoi predecessori hanno rivolto agli aspiranti premier. Primo: con quale maggioranza si pensa di sostenere il governo. Secondo: con che programma politico. Terzo: con quale struttura ministeriale. Non è che chiunque possa presentarsi nello studio alla Vetrata, e pretendere di provarci in quanto arrivato primo, oppure quale vincitore nella gara tutta interna alla coalizione più votata. Gli automatismi sembrano esclusi, a governare le mosse di Mattarella saranno le consultazioni che inizieranno (se tutto va bene) a partire dal 3 aprile. E conterà l’atteggiamento dei potenziali incaricati, se mostreranno cioè una disponibilità autentica a cercare le convergenze necessarie, i compromessi inevitabili sulle rispettive promesse elettorali, perché, in caso contrario, il loro tentativo si trasformerebbe in una passerella mediatico-propagandistica, in uno sfoggio di vanità che Mattarella difficilmente avallerebbe.
Esclusi anche governi-flash, quelli che «facciamo in 15 giorni una nuova legge elettorale e poi di corsa a rivotare». Sono scenari di cui si favoleggia, ma privi di consistenza perché i governi non hanno scadenza come lo yogurt, nascono per durare e occuparsi dei tanti guai nazionali, dalla disoccupazione agli sbarchi, per finire all’Iva che senza una manovra autunnale balzerebbe al 25 per cento. Tornare alle urne in ottobre è minaccia che sul Colle nessuno prende alla lettera: Perché quando un governo cade è come con il papa, se ne fa un altro. Nuove consultazioni e, magari, anche una nuova maggioranza anti-elezioni.
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