Salvini e Di Maio verso l’intesa: “Noi insieme non è impossibile”
C’è un solo un accordo definito e siglato tra Lega ed M5S. Ed è un accordo «di metodo», come lo definisce Luigi Di Maio. «Le presidenze delle camere andranno ai vincitori». Ora, chi siano nella sua testa i vincitori, oltre al M5S, se intenda la Lega, come vorrebbe lui, o l’intero centrodestra, è stato argomento di discussione nelle consultazioni telefoniche del leader grillino con Piero Grasso di Leu, Giorgia Meloni di Fratelli d’Italia, Maurizio Martina del Pd, Renato Brunetta di Forza Italia e Matteo Salvini della Lega.
LEGGI ANCHE – Le condizioni per un patto senza esclusi (G. Sabbatucci)
Sullo sfondo si agita l’ipotesi di un’alleanza di governo tra leghisti e grillini, vero tema in cima ai pensieri di tutti i protagonisti politici di questa fase di crisi post-voto. «Nulla è impossibile o irrealizzabile» dice Salvini. «Vedo impossibile un governo assieme tra Lega ed M5S» aveva detto nel pomeriggio a Mezz’ora in più, su Raitre, Roberto Maroni. E in quest’aggettivo, «impossibile», si gioca anche un po’ la storia della Lega, quella che fu del Nord, fondata da Maroni con Umberto Bossi, stretta da un patto di acciaio alla leadership del centrodestra targata Silvio Berlusconi. E la Lega nuova di zecca, sovranista, nazionalista, lepenista, proiettata vero Sud, che vuole fagocitare il centrodestra e guidarlo come un solo corpo.
LEGGI ANCHE – Berlusconi, messaggio a Matteo Renzi: non puoi prendere tutto tu (A. La Mattina)
Salvini dice che ci sono punti in comune con il M5S, una «base» sui cui poter edificare un governo. È possibile. Ma c’è anche molta tattica, un talento unico che ha il leader del Carroccio nella provocazione, nell’alimentare tensioni e aspettative, per studiare subito dopo le reazioni di alleati e avversari, e rafforzare in loro la convinzione che sia lui ad avere l’ultima parola e dunque il loro destino nelle sue mani. Salvini sa che finché c’è un Pd fuori gioco e ha il tempo di farlo, può usare la strategia dei due forni in modo speculare a Luigi Di Maio. Fa credere contemporaneamente a Berlusconi di trattare in via esclusiva con il M5S, e al grillino di volere una legge elettorale con premio di coalizione che di fatto premierebbe il centrodestra e schiaccerebbe i grillini.
Poi ha le sue battaglie interne da risolvere. Maroni è un ostacolo alla sua completa egemonia nella Lega. «Un governo con il M5S mi sembrerebbe un ritorno indietro alla Prima Repubblica, ai governi balneari» lo avverte l’ex presidente della Regione Lombardia. Avrebbe detto lo stesso delle larghe intese Fi-Pd, ormai naufragate?
Nel gioco delle parti, ogni mossa è anche dissimulazione. L’unico patto che c’è è quello sulle camere. Montecitorio al M5S e Palazzo Madama alla Lega, è quanto vorrebbe Di Maio. «Anche se non abbiamo parlato di nomi» giurano lui e Salvini. I nomi sarebbero Roberto Calderoli, per il Carroccio, al Senato e Riccardo Fraccaro o Emilio Carelli, per il M5S, alla Camera.
Ma è uno schema che non va giù a Silvio Berlusconi, spaventato dall’idea di vedere cementato già in Parlamento l’asse di un eventuale governo tra il suo alleato e i 5 Stelle. Tocca a Brunetta farlo capire a Di Maio durante la telefonata. Secondo il capogruppo forzista nessun veto su Paolo Romani da parte dei grillini verrà accettato, né Salvini ha il mandato di parlare per conto dell’intero centrodestra. Martedì ci saranno altri incontri e i capigruppo del M5S sveleranno le proprie scelte. Prima di venerdì, quando inizieranno le votazioni, tutto può ancora succedere. «Chi lo ha detto che al M5S tocca una delle due camere? Dopotutto sono arrivati secondi» sostiene Giorgia Meloni. «Noi abbiamo i nostri nomi» ha spiegato il segretario reggente del Pd Martina a Di Maio. Sono dichiarazioni di trincea che il capo dei 5 Stelle ha provato ad ammorbidire ricordando che in ballo ci sono anche i posti da vicepresidente e i questori. Incarichi che potrebbero accontentare chi, come Pd e FdI, rimarrebbe a bocca asciutta sulle presidenze.
LA STAMPA