Di Maio tratta anche sui ministri: “I miei non sono intoccabili”
Luigi Di Maio fa trapelare una frase alle agenzie durante l’incontro con i senatori: «Dei ministri si parla col presidente della Repubblica, dei temi invece con i partiti politici». Sfumature che tradiscono grandi passi in avanti. Mai il leader grillino aveva prima di ora aperto una crepa alla granitica certezza che la squadra dei ministri sarebbe stata quella presentata con tanto di grande scenografia mediatica prima del voto.
Segno che Di Maio vuole trattare. Anzi, sta trattando. Per ora i leader si studiano, si tengono a distanza di telefono. Tocca agli ambasciatori incontrarsi e parlarsi. E i 5 Stelle lo stanno facendo soprattutto con la Lega. A sentire i grillini che lavorano a stretto contatto con Di Maio, la speranza di avere un governo in qualche modo sostenuto dal Pd, sotto la regia del Colle, si sta via via affievolendo. Certo, non sono sfuggiti i nuovi importanti segnali di apertura del Pd: «Vediamo però se fanno davvero il referendum tra gli iscritti» è il pensiero di Di Maio. Ma non c’è solo l’idea di una consultazione interna tra i dem che potrebbe comunque finire male. Un renziano eretico come Matteo Richetti propone di ragionare su «un governo di scopo di pochi punti». Qualcosa di non dissimile a quella formula immaginata dai vertici del M5S prima del voto, quando non sapevano che il peso del Movimento sarebbe stato maggiore.
I grillini lasceranno che Mattarella tenti un’ultima carta con il Pd durante le consultazioni dopo Pasqua. Se andrà male, l’asse costruito nel frattempo con i leghisti sulle presidenze di Camera e Senato, diventerà la struttura portante di un’alleanza di governo ancora tutta da disegnare. I 5 Stelle hanno cambiato schema, temono di tornare al voto con una legge elettorale sfavorevole, «magari con un premio di maggioranza incostituzionale» che favorisca Matteo Salvini e non loro, dopo mesi a tenere in vita un parlamento rissoso. Nessuno, poi, nel M5S ha la sicurezza che i gruppi, consumati da settimane o mesi di crisi, terranno compatti, o che invece messi di fronte al timore di perdere la poltrona per colpa di nuove elezioni, non imploderanno.
Di Maio è confortato anche dalla convinzione che sarebbero pochi a opporsi a un esecutivo grillo-leghista. Anche chi, come Matteo Mantero, è stato incasellato nell’ala di sinistra del M5S, è ormai pronto a digerire persino la Lega «purché l’alleanza sia blindata su punti specifici». Mantero è ligure, «sono diventato pragmatico ortodosso» scherza: «E’ vero che in Liguria i leghisti stanno spolpando la Sanità», ma un conto sono i territori, un altro il governo, condizionato «da un programma che affronti le priorità economiche del Paese». Nello sguardo dei senatori del M5S c’è la curiosità spaesata di chi debutta in parlamento senza sapere se sarà maggioranza o opposizione. Luigi Di Maio non può che offrire un incoraggiamento: «Per il governo sono sereno e fiducioso. Sarà difficile metterci all’angolo». Ma la strada deve essere sgombra di inciampi sin dal principio. Di sicuro, non aiuterebbe partire con un pasticcio sugli uffici di presidenza. Di Maio ha offerto una governance condivisa, con due punti fermi: il presidente della Camera va al M5S, il Senato alla Lega o male che vada a qualcun’altro del centrodestra. I grillini dovranno solo trovare il modo di placare le ire di Forza Italia, compatta nell’insistere su Paolo Romani. L’ipotesi di Giulia Bongiorno, leghista da pochi mesi, potrebbe essere il perfetto nome di mediazione.
Ma Di Maio sta dando prova di un realismo politico capace di molti sacrifici. E lo stesso è pronto a fare sulla squadra di governo. In quest’ottica, pur di avviare un governo, «ogni posto da ministro diventa negoziabile», ragionano nello staff di Di Maio, ma in cambio il M5S vuole la certezza che non si metta in discussione il ruolo da premier del capo politico grillino. E questo potrebbe essere l’unico vero scoglio da qui a due mesi nelle trattative con la Lega, quando e se entreranno nel vivo. Lo stesso vale se invece sarà il Pd ad aprire un canale di dialogo serio con i grillini. In entrambi i casi Di Maio potrebbe lasciare spazio per ministri politici o, (sarebbe una soluzione preferibile per i 5 Stelle) per tecnici d’area.
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