Regole sì, ma evitiamo il luddismo

Gianni Riotta

C’era una volta Big Oil, deprecato cartello delle sette compagnie petrolifere. Prima c’era stato Big Steel, lobby dell’acciaio, e poi Big Tobacco, i cinque mega, contestatissimi, brand delle sigarette. Ma chi avrebbe detto che anche l’industria digitale, che doveva guidarci per mano all’utopia della comunicazione diretta, all’Intelligenza Artificiale, alla Rete cui volevamo concedere il premio Nobel per la pace via Facebook, Google, Apple, Amazon, Twitter, finisse denigrata come Big Tech, totem monopolistico da multare, accusare, trascinare in giudizio?

 Ieri Facebook ha perso il 6% in Borsa, 30 miliardi di dollari (24 miliardi di euro) sfumati. I mercati penalizzano il colosso di Mark Zuckerberg dopo le denunce dell’informatico Christopher Wylie che accusa l’azienda Cambridge Analytica di aver dragato illegalmente 50 milioni di profili di utenti FB, rivendendoli alla campagna elettorale di Trump, via lo stratega nazionalista Bannon e il magnate conservatore Mercer. I leader tecnologici si son illusi di essere salvatori dell’umanità, con Ray Kurzweil teorico dell’«era transumana», in cui ogni limite della nostra specie, fisico, etico, spirituale, verrà oltrepassato, fino all’immortalità e alle macchine pensanti pensiero.

La rivoluzione transumana sarà innescata dalla «Singularity», il momento in cui l’Intelligenza Artificiale libererà l’Homo Sapiens dal giogo del lavoro, dai limiti economici, dalla gravità, materiale e morale.

 

Contro questa arroganza, i Greci la chiamavano hybris, si levano i catastrofisti digitali, luddisti del web come gli artigiani inglesi che distruggevano i telai meccanici della rivoluzione industriale: Evgenj Morozov convinto che il mercato web distrugga la creatività, Franklin Foer sicuro che «i monopoli del tech vogliono plasmare l’umanità a propria immagine e somiglianza» e il geniale fisico Stephen Hawking, appena scomparso, ad ammonire che l’invenzione dell’Intelligenza Artificiale, maggiore scoperta umana, potrebbe esser l’ultima se le macchine ci faranno loro schiavi. Incuranti di queste profezie, miliardi di noi han continuato ad usare Facebook per comunicare la propria vita, Google per capire cosa accade nel rione e sul pianeta, Apple per darsi un’identità, Twitter, WhatsApp, Snapchat, Instagram per condividerla. In Russia e in Cina il web è controllato dallo Stato, nelle democrazie invece, tra privacy e mercato, si crea un vuoto dove spie, lobby occulte, Stati canaglia e seminatori di zizzanie digitali inquinano dibattito ed elezioni.

 

Facebook ha ora guai pesanti. Il presidente del Parlamento Europeo Antonio Tajani twitta di «minaccia al funzionamento della democrazia», la Commissione Elettorale britannica cerca prove di manomissione dei dati personali nel voto per Brexit, il Bureau federale per la Protezione dei Consumatori e il ministro della Giustizia del Massachusetts indagano in America. La compagnia rischia negli Usa una multa fino a 40.000 dollari per ogni utente la cui privacy è stata violata, e il 25 maggio scatterà in Europa una rigidissima norma sulla privacy, General Data Protection Regulation (Gdpr), che imporrà sanzioni fino al 4% del fatturato in caso di intrusioni tipo quelle imputate a Facebook. Nel frattempo i giovani, stufi, lasciano il social media, quest’anno tre milioni di americani e inglesi sotto i 25 anni usciranno da Facebook, ormai «network di papà e mamma».

 

La tecnologia e i social media non erano talismano magico ieri, non sono stregoneria perversa oggi. Non ci renderanno invulnerabili, né schiavi. Ogni rivoluzione, dopo il primo impatto, è stata regolata, ferrovie, energia, telefonia, con i monopoli onnipotenti seguiti da aziende capaci ancora di competere e innovare. Questa stagione si riapre nel digitale, ma gli interventi politici non dovranno in alcun modo ossificare quel che di meraviglioso e libero il web ci ha donato. Le regole non dovranno mai essere camicie di forza: pur colma di buone intenzioni, per esempio, la Gdpr europea di protezione della privacy di maggio rischia di danneggiare, almeno nella prima fase, la sicurezza, l’antiterrorismo, la lotta alle truffe e allo spam online, anticipa l’esperto di cybersecurity Brian Krebs. Difendere l’Albero della Conoscenza nell’Eden digitale, scacciando il Serpente della disinformazione, ecco la vera missione.

LA STAMPA

 

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