Milan: fallisce la società salvadanaio di Li, altra spallata alla credibilità cinese

Arriva il commissario da Pechino per la cassaforte di Yonghong Li, 48 anni, proprietario e presidente del Milan. Il tribunale del popolo di Shenzhen ha infatti ufficialmente dichiarato fallita la Jie Ande sulla quale fino a ieri pendeva una richiesta di liquidazione per bancarotta da parte della Banca di Canton. La sentenza, secondo quanto emerso nelle ultime ore, ha spazzato via la gestione targata mister Li, responsabile del dissesto, e nominato con pieni poteri un avvocato dello studio legale Jindu di Pechino. «La situazione relativa a tutte le mie risorse personali è completamente sana», diceva appena un mese fa l’uomo d’affari. La Jie Ande è il principale azionista con l’11,4% di un’azienda quotata alla Borsa di Shenzhen ed era accreditata come la società più importante e più liquida tra quelle indicate nel curriculum ufficiale del finanziere cinese residente a Hong Kong che, meno di un anno fa, acquistò il Milan dalla Fininvest per 740 milioni. All’epoca la Jie Ande era già insolvente ma nessuno, tra banche, consulenti e controparte, lo verificò.

Solidità patrimoniale

Dal commissariamento non ci sono effetti diretti sul club rossonero ma solidità patrimoniale e credibilità del suo presidente, già traballanti, subiscono un ulteriore colpo. Gli effetti indiretti dipendono dagli spazi di manovra del commissario e dalle norme cinesi: cioè fino a che punto e a che livello può essere eventualmente «aggredito» il patrimonio di mister Li per soddisfare i creditori. Però è evidente che con un crac sulle spalle, la sentenza di un tribunale e altre banche «inchiodate» che pretendono risarcimenti, anche il più spregiudicato uomo d’affari faticherebbe ad accreditarsi su quel mercato. Eppure per il club è fondamentale fare business in Cina e farlo presto. Essenziale, in particolare, per chiudere il bilancio al 30 giugno e dare continuità all’azienda Milan. Se è pacifico che i debiti (gli oltre 300 milioni di Elliott) vadano rifinanziati , d’altra parte senza un adeguato fatturato la costosa macchina si inceppa. Le misure tampone possono arrivare dallo stesso fondo americano che non avrebbe problemi a prestare altri 30-40 milioni destinati al club se servissero a garantire tra un mese l’Uefa e un futuro nelle coppe al Milan. Non è generosità ma calcolo: eventuali sanzioni inciderebbero sul valore della società che è a garanzia dei prestiti. Yonghong Li mantiene gli impegni, sostengono al Milan elencando i bonifici per gli aumenti di capitale.

Ritardi e tassi

Ma è un continuo arrancare tra ritardi e tassi che sembrano una condanna di inaffidabilità: per pochi milioni non restituiti alla scadenza a una finanziaria di Cayman (che ha in pegno una delle holding del Milan con sede alle Isole Vergini) , Li ha accettato di pagare un interesse del 24% in cambio della proroga del finanziamento e facendosi garantire dalla moglie. Insomma se la squadra con Rino Gattuso è riemersa e viaggia a buon ritmo, la società vive alla giornata e da mesi è alla caccia di un rifinanziamento che sia accettabile in termini di tassi e di commissioni. L’intera operazione Milan-Li, oggi che i nodi del passato vengono al pettine, appare dunque come un enorme azzardo (se non messinscena) finanziario con scarsissimi contenuti e visione imprenditoriali. E il commissariamento della Jie Ande conferma quanto fosse «drogato» quel patrimonio dichiarato dal cinese, comprensivo di miniere e altre proprietà difficilmente individuabili o quantificabili o attribuibili. L’avvocato dello studio di Pechino nominato dai giudici potrà ora certificare se davvero quel piccolo tesoro detenuto dalla cassaforte Jie Ande, cioè la partecipazione dell’11,4% nella quotata Zhuhai Zhongfu, fosse davvero di mister Li come da lui dichiarato. O non, invece, di un certo Jinzhong Liu, come dichiarato nei bilanci.

CORRIERE.IT

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