Battaglia navale contro i narcos. “Un carico al giorno verso l’Italia”

Matteo Indice
 

Nella lista nera vengono inseriti i nomi di tre portacontainer. E bisogna capire, in questa battaglia navale che ha per cartina il mondo compreso tra Sudamerica ed Europa, se sono davvero sospette o se i narcos le stanno usando come esca. La Dcsa (Direzione centrale dei servizi antidroga) della polizia osserva i loro spostamenti, si chiamano Dimtris C, Hsl Nike e Carolina Star, battono bandiera liberiana e ciascuna compie una decina di tappe fra Colombia, Perù, Panama, Spagna e Malta prima d’approdare in tre differenti porti italiani. Quando pensano sia il momento giusto gli agenti intervengono: la Hsl Nike è vuota, nonostante a Livorno aprano più di 300 container. E però suddivisa fra gli altri due mercantili c’è mezza tonnellata di cocaina: 200 chili intercettati nel porto toscano da Finanza e Dogane dieci giorni fa, 300 sequestrati dalla squadra mobile a Genova il 15 febbraio.

 

I complici nei porti

«La caccia alle navi dei narcos – spiega Cristiano Leggeri, che della Dcsa a Roma è dirigente – ha cambiato completamente scenario: ogni anno segnaliamo almeno 200 imbarcazioni che si muovono nel Mediterraneo e potrebbero rifornire i moli con un tesoro di droga, quasi una al giorno. Il problema è che le organizzazioni hanno compartimentato la filiera, esistono branche d’importatori europei specializzate solo nel trasporto: non sanno quasi nulla di ciò che accade prima dell’imbarco o dopo lo sbarco, ma sono in grado di studiare innumerevoli variazioni per depistare. E i pool come i nostri a loro volta si ri-organizzano partecipando a un superdatabase gestito da sette Stati, che consente d’intervenire fuori dalle proprie acque territoriali».

 

È una battaglia navale, appunto, con i trafficanti che hanno superato da un po’ il modello del classico contenitore da svuotare in un grande hub e in un colpo solo (il record nazionale resta comunque di Gioia Tauro, dove si ferma il 45% della droga stoppata annualmente in Italia, mentre ogni dodici mesi avvengono in media da Nord a Sud 10 sequestri superiori al quintale). Lo stupefacente è sovente suddiviso in sacchi nascosti dentro intercapedini, per essere distribuito in più fermate e in diverse nazioni, cercando di allargare la complicità dei marittimi locali con compensi fra 5 e i 10 mila euro per ogni stock «coperto».

 

«In altri frangenti – qui a pronunciarsi è Marco Calì, il poliziotto che ha coordinato il recente blitz nel capoluogo ligure – per dribblare rotte prevedibili si raccoglie la coca in Tanzania, divenuta la principale base di stoccaggio intermedio, risalendo poi via Suez».

 

 

Dipendenti dalla cocaina

Due dati macroscopici, ottenuti incrociando report del Viminale e dell’Onu, hanno accelerato la ricerca delle grandi imbarcazioni. Primo: i trattamenti di under 25 dipendenti dalla cocaina sono lievitati nelle varie regioni del 15% in un biennio. Secondo: la superficie in Colombia coltivata a piantagioni di coca, pre-accordo tra Farc e governo che le dovrebbe ridurre, tra 2014 e 2016 era triplicata e la raffinazione di ciò che è già stato estratto incrementa a medio-breve termine le forniture all’Europa: da gennaio a oggi sono stati intercettati nei porti italiani 600 chili, in proiezione molto più del 2017 quando furono 2300 sui moli in un anno. E il trend generale dei sequestri nel Mediterraneo è passato dalle 40 tonnellate del quadriennio 2009-2012 alle 222 dell’arco 2013-2016 (+545%), senza dimenticare che l’80-85% dei blocchi avviene alla frontiera marittima. Ecco perché si è imposto il cosiddetto modello di «difesa avanzata», anticipando l’aggressione ai maxi-carichi affinché non si parcellizzino in un florilegio di piazze una volta a terra.

 

La lista nera

La Dcsa tiene quindi un rappresentante fisso nell’agenzia Maocn/N – Maritime analysis and operations centre/narcotics – con sede a Lisbona, che include pure Portogallo, Irlanda, Francia, Olanda, Spagna e Regno Unito: le ultime due, con l’Italia, sono le principali porte d’ingresso per i narcotrafficanti nel Vecchio continente. E l’attività d’intelligence si concretizza fra Mediterraneo e Atlantico orientale, in primis con la condivisione della black-list sugli scafi sospetti. Il Paese che ha notizie su una potenziale nave dei narcos, individuata per la peculiarità delle rotte o dell’equipaggio, lo segnala all’agenzia e a quel punto ha titolo a intervenire anche se non è nel suo territorio. «La partita principale – chiude Cristiano Leggeri della Dcsa – si gioca in mare. E se un trasportatore trova che una rotta sia sicura per la droga, poi la utilizzerà pure per armi o esseri umani. O per qualsiasi cosa non debba essere scoperta».

 

LA STAMPA
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