Un’Italia più forte in Europa

Si apre oggi a Roma la nuova legislatura, mentre è riunito a Bruxelles il Consiglio europeo. Impegnati nell’elezione dei presidenti delle Camere, i senatori e i deputati dovrebbero riflettere anche sul filo invisibile che sempre di più, ma oggi in particolare, collega la Capitale italiana e quella europea. Dal Parlamento che si riunisce oggi emergerà, con la regia del Capo dello Stato, il prossimo governo. Ma potrebbero occorrere tempi lunghi, anche più del solito. Intanto in Europa, nelle prossime settimane e mesi, si prenderanno decisioni destinate a influenzare la vita dei cittadini e delle imprese per anni, forse per decenni. Francia e Germania sono ora in grado di dare il là a riforme importanti su temi come la governance dell’eurozona , l’unione bancaria, le regole sulla finanza pubblica, il bilancio dell’Unione europea dopo il 2020, la gestione della sicurezza e delle frontiere esterne, le norme sui migranti e i rifugiati e i modi per farle effettivamente rispettare. Tutto questo rischia di avvenire mentre l’Italia, concentrata su un passaggio sacrosanto della propria vita democratica, non può avere piena rappresentanza politica ai tavoli europei. Finché dal nuovo Parlamento non nascerà un nuovo governo, le posizioni dell’Italia saranno espresse, con piena legittimità, dal governo Gentiloni, nato dal vecchio Parlamento. Il presidente del Consiglio e diversi ministri hanno esperienza e godono di ottima reputazione.

Hanno probabilmente una capacità negoziale maggiore di quella che, almeno nei primi tempi, potrà avere il governo che verrà. Ma Gentiloni e i suoi ministri non possono avere, nel trattare con gli altri Stati membri e con le istituzioni comunitarie, lo stesso peso politico che potrà avere il futuro governo se, come è da sperare, parlerà a nome dell’Italia dei prossimi anni. Altri Paesi, agguerriti e con chiari progetti sul loro ruolo in Europa, potrebbero approfittarne a nostro danno. L’Italia ha però, tra le sue doti, quella di sapere a volte trasformare i problemi in opportunità. È uno dei tratti del soft power del nostro Paese. Perché non provarci in questa occasione? Il Parlamento che oggi si riunisce per la prima volta potrebbe, nelle prossime settimane, aiutare il governo Gentiloni a rafforzare in Europa il nostro Paese, senza trarne vantaggio per sé e senza alterare la forza rispettiva dei diversi partiti ai blocchi di partenza della nuova legislatura.

In che modo? Si potrebbe lavorare ad una mozione il più possibile «nazionale» e non-partisan, approvata sia alla Camera sia al Senato, che presenti all’opinione pubblica europea e, attraverso il governo in carica, ai tavoli europei un’Italia più esigente di quanto è stata in generale in passato e meno divisa nel volere un’Europa più efficace di quanto il dibattito interno degli ultimi anni abbia fatto credere ai partners europei. Impossibile? Non credo, se si tiene presente che in questo modo il nuovo Parlamento riuscirebbe a dare per tempo un indirizzo di politica europea già al governo in carica. Inoltre, darebbe subito più forza all’Italia, spazzando via gli alibi che inducono le classi politiche di diversi Paesi (sospettosi Paesi del Nord, ma anche Paesi del Sud non infelici se l’Italia va un po’ indietro) alla tacita intesa che è rischioso avere l’Italia di oggi nella cabina di regia. E poi, nel maggio 2019 ci saranno comunque le elezioni europee. Quello, non oggi, è il momento in cui i partiti potranno, se proprio lo vorranno, riprendere a combattersi sull’Europa. Intanto, avrebbero tutti contribuito a fare l’interesse del Paese, senza che alcun partito abbia fatto danno a se stesso. Su quali punti imperniare la mozione? Dovrebbero essere naturalmente i partiti, soprattutto quelli che parlano spesso di «interesse nazionale», a identificare posizioni di possibile accordo.

Non credo sia troppo arduo trovare formulazioni di sostanza e tali da raccogliere il sostegno di diversi partiti, in particolare su quello che ci si aspetta dall’Europa, e che l’Italia si impegna a fare, in tema di migrazioni e rifugiati; sul condizionamento dei fondi strutturali al rispetto delle norme comunitarie; sulla politica per l’Africa; su una disciplina più corretta della finanza pubblica, con più spazio per gli investimenti e meno uso di quelle «flessibilità» che si traducono in spesa corrente; sul bilancio Ue post 2020, più legato alle priorità di oggi e di domani che a quelle del passato; su una vigorosa leadership dell’Europa, con gli strumenti della politica di concorrenza e della regolazione, verso una disciplina antitrust e fiscale dei giganti di Internet, anche a tutela della democrazia. Proprio i partiti che vengono definiti «populisti» o «sovranisti», spesso ritenuti ostili alla costruzione europea, se vogliono che la sovranità degli Stati non svanisca del tutto a favore di mani e tasche private e a danno del popolo, dovrebbero essere i primi a battersi per la ricostruzione di una sovranità pubblica a quell’unico livello al quale ciò può avvenire, il livello europeo. Stefano Feltri, vicedirettore delFatto quotidiano, lo ha spiegato chiaramente in «Populismo sovrano» (Einaudi, 2018).

CORRIERE.IT

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