Le strette di mano con il Cavaliere che Di Maio snobba
Luigi Di Maio rifiuta aggrappandosi alle tende di incontrare Silvio Berlusconi perché ha paura del suo elettorato artificialmente mantenuto in uno stato di furia, che è come il coma farmacologico in politica.
Lui questo teme: niente furia, niente elettorato.
Il rifiuto capriccioso di Luigi Di Maio è figlio di una logica letale che potrebbe far inghiottire il giovane politico in un gorgo. Si tratta di quella logica che parte da Robespierre a Lenin e poi Stalin del «nucleo d’acciaio» (Stalin è un soprannome e in russo vuol dire Acciaio) di gente dura e pura che non si sporcherà mai le mani con un compromesso. L’illusione dominatrice della rete e dei suoi crepuscoli elettronici, fa il resto. Di Maio e il movimento che ha scelto di classificarsi a stelle come un albergo, sanno che trattare con l’avversario è indispensabile e inevitabile anzi virtuoso, ma anche che per il suo elettorato è peccato mortale, perché è stato allevato in una salamoia d’odio e furia.
Per questo Di Maio ricorre a un espediente: considerare disonorevole incontrare Berlusconi che la parte più psicotica del suo elettorato considera un nemico assoluto. Più che di un’idiozia, si tratta di un errore. Silvio Berlusconi è l’uomo più accusato, vilipeso, processato ed esposto a linciaggio dell’Occidente eppure con lui hanno parlato, anche nel modo più rispettoso e amichevole, tutti i leader mondiali e in particolare europei, i presidenti americani, gli esponenti di tutte le posizioni politiche conservatrici e progressiste, i papi e gli ultimi regnanti (guarda l’album che inchioda i grillini).
Non vogliamo ricorrere al solito ritrattino di Di Maio steward fuori corso agli stadi, elegantino con il suo completino da prima comunione che lo fa apparire rassicurante e campione dell’arte del pesce in barile davanti all’Europa. È giovane, ha talento e forse farà qualche metro in più di Matteo Renzi, altro giovine di belle speranze pronto a stupire, e che oggi risulta missing in action per eccesso di presunzione.
Il candidato pentastelluto farebbe bene a ricordare che l’elettorato italiano è sbandato e vulnerabile: può dare il quaranta per cento a Renzi in una votazione e pochi anni dopo mandarlo a ramengo. Gli italiani hanno votato ad ondate per la Democrazia cristiana di Andreotti, per il Pci di Berlinguer, per la stessa Forza Italia che ha fatto da tessuto connettivo quando un’operazione devastante e per nulla spontanea fece fuori tutti i partiti tradizionali. Gli italiani di oggi sono accuratamente tenuti all’oscuro dalla logica dei fatti, come accadeva nella Germania feudale dove i feudatari decidevano quale moglie dare ai loro fattori e per non affaticarli gliela davano già incinta.
Il giovane leader rischia di restare intortato dalla stessa logica che lo ha proiettato in alto e che lo induce a fare questa grandissima sciocchezza di rifiutarsi di parlare con Berlusconi perché è stato condannato, come se il suo leader Grillo non fosse stato anche lui condannato e per un reato ben più grave, trattandosi di omicidio colposo. Farebbe anche bene a imparare, tanto per farsi le ossa con la politica reale, che tutti i veri leader parlano con chiunque, a cominciare dai papi fino ai presidenti. E che proprio Berlusconi ha incontrato e discusso con tutti i grandi della Terra i quali tutti hanno trovato utile quando non indispensabile discutere e fare politica con lui. Quando si imbocca la logica ferrea e poco intelligente del rifiuto sdegnoso, si rischia di finire come un qualsiasi segretario Pd.
IL GIORNALE