Ora la manovra tocca a chi ha vinto

Bruno Manfellotto

Ora tutti tirano per la giacchetta Carlo Cottarelli, brillante economista e massimo esperto di conti pubblici. 
C’è chi lo vorrebbe all’Economia, chi ministro ai tagli e chi perfino premier 
di un governo tecnico, del presidente, d’emergenza. Bene, auguri. Ma evidentemente nessuno di quanti lo pressano deve aver letto ciò che l’ex commissario alla spending review – subito dimissionario per, diciamo così, impraticabilità del campo – ha scritto nel suo recente “I sette peccati capitali” (Feltrinelli), perché l’elenco di quei vizi coincide con tutto ciò di cui non si parla proprio – evasione fiscale, corruzione, eccesso di burocrazia, lentezza della giustizia, crollo demografico, divario nord-sud, difficoltà a convivere con l’euro – e spiega ciò che andrebbe fatto, ma che gli attori sulla scena non hanno tanta intenzione di fare.

Non basta. In questi mesi è stata raccontata un’Italia che non è quella vera, cioè che avrebbe tutto superato, risolto, archiviato. E invece, proprio per quei mali antichi – qui soccorre Cottarelli – «l’economia nel suo complesso, 
e al di là delle tante eccellenze che indubbiamente esistono, trova difficoltà a competere in modo adeguato con 
gli altri principali Paesi. Occorre comprendere l’urgenza dei problemi e smetterla con i rinvii. Sono dodici anni di fila – tranne il 2017, per l’imminenza del voto – che prima di Natale approviamo un “decreto milleproroghe”. Siamo l’unico paese ad aver istituzionalizzato il rinvio. Non si acquisisce credibilità in questo modo».

Figuriamoci, la campagna elettorale è stata la fiera dell’incredibile. E tale è anche il dopo voto, contrappuntato 
dal frenetico fantasticare sulle soluzioni possibili, dalla ressa agli sportelli 
dei patronati di Giovinazzo (Bari) per incassare il reddito di cittadinanza 
che non c’è, e dalla trovata del sindaco grillino di Marino (Roma) di portarsi avanti con il lavoro, diciamo così, istituendone intanto uno locale, 600 euro al mese. E chissà, in un ipotetico referendum il Sud avrebbe pure scelto la secessione dal nord, e poi tutti a brindare a Gaeta con i neoborbonici.

Dinanzi a uno stordimento generale 
da lettino dello psicanalista, i nostri soci europei per ora tacciono. E tutti – Juncker che aveva lanciato l’allarme, Merkel alle prese con i guai suoi e Macron che fino a ieri faceva finta 
di niente – confidano nella fantasia istituzionale del presidente Mattarella temperando così i timori di un’ennesima stagione di incertezze. Ai loro occhi, poi, avere un Gentiloni chiamato nell’attesa a svolgere l’ordinaria amministrazione (compreso l’avvio della manovra di bilancio tra un mese) è meglio di un governo pronto a progetti spendaccioni: via la Fornero, aumento delle pensioni, reddito minimo, flat tax…

Contribuisce al silenzio fiducioso pure 
il fatto che le cose vanno meglio (bicchiere mezzo pieno), l’economia cresce più del previsto, ma pur sempre (bicchiere mezzo vuoto) assai meno 
dei nostri partner europei e aggravando l’incolmabile divario tra nord e sud: lassù si corre a ritmi cinesi (più 6-7 
per cento nei distretti virtuosi), laggiù prevalgono stagnazione e disoccupazione alimentando, appunto, sogni di diffuso assistenzialismo. Continuando così non è escluso 
che si raggiunga il pareggio di bilancio ottimisticamente scritto in Costituzione ai tempi del governo Monti. Ma certo non basterà (bicchiere mezzo vuoto) 
a ridurre il debito come concordato 
con Bruxelles, né a evitare la manovra correttiva (4 miliardi) per aver sforato 
il tetto, né a disinnescare quelle maledette clausole di salvaguardia che, per impegni non rispettati, impongono un aumento dell’Iva per 12 miliardi l’anno prossimo e 20 quello dopo.

Per evitarle, non c’è che trovare altrettanti miliardi. E qui l’acqua nel bicchiere cala assai, perché nessuno dei vincitori ha detto cosa farebbe. Certo non lo può dire Pier Carlo Padoan, ministro di un governo dimezzato che, secondo prassi, si limiterà a spedire 
a Bruxelles una relazione tecnica “a finanza invariata”. I cambiamenti spetteranno a chi verrà. Al quale forse toccherebbe pure prendere atto che se debito e crescita vanno meglio, è grazie ai bassi tassi di interesse dovuti alla liquidità generosamente diffusa dalla Bce di Mario Draghi che compra titoli pubblici garantendo il debito e alleggerendo le banche. A un certo punto però la pioggia di euro, finirà, 
il re sarà nudo e l’Europa cambierà atteggiamento: difficile pensare che continui a chiudere un occhio sul debito, specie se intenzione dei vincitori 
è spendere di più.

Così stanno le cose, e la prima vera riforma sarebbe quella di dire la verità agli italiani richiamandoli alla comune responsabilità, al senso civico, al necessario rispetto delle regole, a cominciare da quelle del Condominio Europa. Parla ancora Cottarelli: «La tendenza all’individualismo e al mancato rispetto delle regole si è accentuata negli ultimi decenni. Valori 
di solidarietà e di senso civico che, seppure di rado messi in pratica, erano comunque alla base dell’ideologia 
dei due principali partiti della Prima Repubblica negli anni Cinquanta e Sessanta, e che fornivano una base 
per costruire un senso delle istituzioni, si sono via via persi per strada. 
Occorre recuperare quei valori». Vaste programme.

L’ESPRESSO

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