Compromesso sul reddito di cittadinanza
Forse è davvero finita la campagna elettorale. Nessuno più s’impunta su promesse che forse non potrà più mantenere. Il reddito di cittadinanza? Scomparso dalle parole di Luigi Di Maio La flat tax? «Senza choc fiscale non andiamo da nessuna parte» dice Giancarlo Giorgetti, su La7, senza citare la misura epocale su cui Matteo Salvini ha costruito il suo successo.
È proprio al fedelissimo deputato che il leader leghista ha dato mandato di trattare con i vertici pentastellati. Per farlo deve costruire la tentazione perfetta e puntare al cuore del programma grillino: il reddito di cittadinanza. Fino a qualche giorno fa per i leghisti era assurdo anche solo parlare di una misura del genere, considerata «assistenzialista». Adesso, invece, dice Giorgetti: «Vediamo se possiamo declinarlo in un altro modo» per renderlo «qualcosa che incentivi la ricerca del lavoro». In realtà, già Claudio Borghi, economista alla corte di Salvini, aveva suggerito di dare una spolverata verde padano alla proposta, magari guardando a quel reddito di autonomia che il governo leghista della Lombardia ha sdoganato, un mix di contributi e servizi. Oppure rilanciando il Ral, reddito per l’avviamento al lavoro, che piace ad Armando Siri, altro guru economico di Salvini.
La bussola per orientarsi sarà il Def. Sul documento di economia e finanza si leggerà quanto il compromesso cercato da M5S e Lega potrà facilitare un governo. Le resistenze ideologiche sembrano ormai cadute. Le ultime sacche sono i militanti più ostinati di entrambe le parti, soprattutto tra i leghisti storici del Nord che ora temono una deriva assistenzialistica come segnale di avvicinamento al M5S e indirettamente a quell’elettorato del Sud che Di Maio porta in dote e che fa gola a Salvini. Dalla parte del M5S, la ribellione della base invece è vissuta come poco più che un rumore di fondo. I parlamentari si stanno ormai abituando all’idea del governo con il Carroccio e in tanti attendevano la parola definitiva del garante, che puntualmente è arrivata: «Di Salvini ci si può fidare. È uno che sa mantenere la parola» ha detto uscendo dall’hotel Forum di Roma, libero di esprimersi dopo aver taciuto, come promesso, fino all’elezione dei presidenti di Camera e Senato. Da giorni il comico aveva dato la sua benedizione all’asse con la Lega. Ma lo sapeva solo chi aveva raccolto il suo sfogo contro il Pd, immobile e poco sensibile alle sirene grilline. Di Maio tenterà un’ultimissima volta a sondare la disponibilità dei dem.
Con i suoi collaboratori sta decidendo se avanzare una proposta chiara. Di sicuro verranno lasciate al Pd un paio di vicepresidenze alla Camera e al Senato. Poi il capo politico del M5S potrebbe aspettare le consultazioni del presidente Sergio Mattarella per capire se riesca lui a superare le riserve dei democratici. Nel frattempo continuerà il balletto sulla premiership. Ieri Salvini ha detto che «il premier sarà indicato dal centrodestra». In uno schema in cui sia lui sia Di Maio rinunciassero alla poltrona, sarebbe Giorgetti il premier dei sogni per il leader leghista. Dipenderà chi avrà l’incarico. Per Giorgetti sarà Salvini «a essere incaricato». Grillo e Di Maio per evitare sgarbi istituzionali, invece, buttano la palla in tribuna: «Decide Mattarella»
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