Il Pd vuole tornare in partita: pressing per un asse col M5s

In tv, il reggente del Pd Maurizio Martina si attiene alla linea del «facciano loro» dettata da Renzi: «L’onere e l’onore della prova di governo spettano a chi ha vinto», dice intervistato da Lucia Annunziata su Rai3.

Ma la scena che va in onda a Mezz’Ora in più, un tantino surreale, è una sorta di anticipo del pressing cui sarà sottoposto il Partito Democratico nelle prossime settimane, e sotto il quale potrebbe lacerarsi: c’è la giornalista (che non ha mai fatto mistero della sua appartenenza alla sinistra) che insiste, blandisce, contesta, incalza il rappresentante Dem per convincerlo che non può «limitarsi» a stare all’opposizione, che deve «fare politica». In una parola, che deve dare una mano ai Cinque Stelle per sventare il temibile ritorno delle destre al governo, in accordo con i medesimi grillini. E c’è il povero Martina che si difende, spiega che «saremo senz’altro un soggetto protagonista, si può fare anche dall’opposizione», assicura che «non ci sottrarremo ad un confronto di merito», che «sfideremo gli altri sul terreno del cambiamento», che «non staremo a guardare ma faremo un lavoro di proposte e di rilancio». Per concludere che «non anticipiamo scenari, ma ascolteremo con rispetto le indicazioni di Mattarella».

La linea dell’opposizione crea malesseri profondi dentro il Pd. Dove sono in molti a sostenere la tesi (alquanto bizzarra) che, in fondo, i Cinque Stelle siano migliori e più affini alla sinistra non solo di Salvini ma anche di Berlusconi. Lo teorizza un padre nobile come Luciano Violante: «Se ogni altra alleanza fallisse, il Pd potrebbe accettare di dare la fiducia (a Di Maio, ndr) senza assumere responsabilità parlamentari e di governo, riservandosi il consenso sui singoli provvedimenti». Mentre il veltroniano Walter Verini racconta di aver applaudito il pistolotto di investitura di Roberto Fico perchè «vi ho trovato diversi contenuti condivisibili» e lamenta di aver provato «amarezza» per «l’occasione perduta dal Pd di svolgere un ruolo di forza politica di minoranza, ma non minoritaria» nella partita dei presidenti delle Camere. Bisognava proporre ai Cinque Stelle il nome di Emma Bonino per il Senato, è la sua tesi, per uscire dalla «irrilevanza». Il sottotesto è chiaro: bisognava provare a far saltare l’intesa Salvini-Di Maio, onde poi offrirsi ai grillini come alternativa alla Lega anche ai fini del futuro governo.

C’è chi dice che ci sia, in queste tesi, anche un’eco di ragionamenti fatti al Colle, dove – secondo alcune interpretazioni – si vedrebbe come il male minore, per uscire dalla crisi, la costituzione di una maggioranza, anche solo «tecnica», tra Pd e grillini. Nelle prossime settimane, di certo, il pressing interno ed esterno ripartirà, e le lacerazioni si produrranno. Già dall’inizio della prossima settimana: martedì dovrebbero essere scelti i nuovi capigruppo, figure chiave perché saranno loro a partecipare alle consultazioni del Quirinale sulla formazione del governo. Renzi, forte di un’ampia – anche se forse non maggioritaria – quota nei gruppi parlamentari, resta sul binomio Guerini-Marcucci, che l’ala trattativista vorrebbe far saltare. Martina vuol sventare una conta lacerante nei gruppi, ma è pressato dall’ala non renziana del Pd contraria all’arroccamento sulla linea dell’opposizione. E prova a lanciare un appello: «Bisogna scegliere le persone giuste in un momento come questo e comprendere che dobbiamo fare tutti uno sforzo unitario».

IL GIORNALE

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