“Di Maio pronto al passo indietro”: il braccio destro di Casaleggio svela il piano per l’accordo col Pd
Per capire fino a che punto esista davvero un doppio forno nella testa di Luigi Di Maio bisogna andare a Bologna. E ascoltare con attenzione quello che Max Bugani ha detto a un esponente del Pd emiliano: «Dal 4 aprile (avvio delle consultazioni, ndr) le cose cambieranno. Chiariremo meglio la nostra strategia. Saremo più espliciti con il Pd. Il primo giro di consultazioni andrà a vuoto. Passerà qualche giorno. Poi noi e il Pd dovremo per forza parlarci. A quel punto proporremo un programma di pochi punti, magari cinque, che vada bene a entrambi. Solo dopo, Luigi farà un passo indietro sulla premiership. Di Maio non è mica Renzi, non resterà inchiodato alla poltrona».
Non stiamo parlando dei desiderata di un peone qualsiasi: Bugani è la storia del M5S, consigliere comunale a Bologna e braccio destro di Davide Casaleggio nell’associazione Rousseau, ascoltatissimo da Beppe Grillo, in prima linea con i vertici romani del Movimento. Bugani chiarisce le voci che ieri sono tornate a essere insistenti tra i parlamentari, soprattutto dopo il muro alzato da Matteo Salvini sull’opportunità di rompere con Forza Italia a favore del M5S. Dopo le consultazioni, il fortino pentastellato avvolto dal silenzio comincerà ad aprirsi a dichiarazioni più esplicite. Chi lavora ai dossier economici in vista del Def acquisirà un ruolo più centrale.
Il peggior rischio per l’economia italiana è un governo tra M5S e Lega
Da quanto si apprende, si sta cercando un difficile equilibrio su un programma che riesca nel miracolo di non scontentare nessuno, tra Lega e Pd. Ma ai dem, i grillini sono già pronti a offrire taglio dell’Irap, lotta all’evasione, misure contro la disoccupazione giovanile, e una nuova formulazione del reddito di cittadinanza che tenga conto del reddito di inclusione come base di partenza. Questi punti sono solo una parte selezionata di quella decina su cui ieri i capigruppo si sono confrontati con gli altri partiti. «Chiunque si dica di sinistra dovrebbe votarli» spiega Lorenzo Fioramonti, braccio economico del M5S.
Lo scenario disegnato da Bugani non è dissimile da quello ventilato da alcuni 5 Stelle in chiacchierate informali con i leghisti. Se lo stallo si trascinasse per un mese, Di Maio verrebbe quasi costretto al passo indietro, pur di far partire un governo. Salvini pensa che sarà con la Lega, alcuni grillini sperano con il Pd, convinti che sia la direzione in cui si muoverà anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Diventa ogni giorno più chiaro che Di Maio sta davvero giocando su due tavoli, pronto ad assumersi tutti i rischi del caso: «Le convergenze sono possibili sia a destra che a sinistra – ha detto dopo gli incontri di ieri – L’unico gruppo che si sottrae al confronto e al cambiamento è il Pd». Di Maio prova a stanare i dem, mentre i suoi colonnelli, a partire da Giulia Grillo, messi di fronte all’apertura di Dario Franceschini ripetono: «Ma con quale Pd dovremmo parlare? Sono troppi».
Il leader del M5S si sposta a seconda delle convenienze, pensando di sfruttare le debolezze dei suoi interlocutori. Da una parte c’è la Lega, con cui la sintonia è ottima, ma che si porta dietro un problema non da poco: Silvio Berlusconi. Dall’altra c’è il Pd, a cui il M5S non ha rinunciato fino in fondo, né intende farlo ora che sta combattendo una guerra di posizione con Salvini. Raccontano che Di Maio abbia espresso tutta la sua frustrazione durante l’assemblea del gruppo della Camera: «Se Salvini vuole restare attaccato a Berlusconi, faccia pure. Vediamo dove arriva…».
Su questo non sembra proprio esserci margine di trattativa. A domanda diretta i leghisti scuotono la testa, sconsolati. Stanno tentando di convincere Berlusconi a un’operazione di «cosmesi» spericolata: lasciare Forza Italia a un reggente e dire addio alla politica, nella speranza che i 5 Stelle accettino un’alleanza con l’intero centrodestra. Ma hanno capito che forse non basterà. «Ci sono zero possibilità a un governo con Fi» spiega, dietro garanzia di anonimato, un esponente della cerchia stretta del leader: «A maggior ragione, Di Maio premier non può coesistere con quelli». Molto si capirà il giorno in cui Fi salirà al Colle. Se ci sarà o meno Berlusconi. Anna Maria Bernini, capogruppo al Senato, non lo ha escluso ma nel colloquio con i 5 Stelle ha detto che comunque non ci sarà interlocuzione senza l’ex Cavaliere.
Un atto di sfida che i grillini sono pronti a sterilizzare evocando in chiave anti-berlusconiana una legge sul conflitto di interessi. Con il Pd? «Vediamo…non l’hanno fatta in dieci anni – spiega Giulia Grillo – Ma le strade del signore sono infinite». Di legge sul conflitto di interessi e lotta all’evasione (entrambi un chiaro messaggio a Fi e all’alleato Salvini) parla anche Danilo Toninelli che per la prima volta ammorbidisce le resistenze alla flat tax. Una cortesia dopo la disponibilità mostrata dalla Lega sul reddito di cittadinanza, prima che in una carambola di tweet con il dem Michele Anzaldi Salvini facesse nuovamente impallinare la misura regina del M5S. Il doppio forno continua a bruciare ogni certezza.
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