L’utile di Bankitalia fa felice il Tesoro. Il “bazooka” di Draghi vale 5 miliardi
Bankitalia stacca un assegno da 4,9 miliardi di euro allo Stato, circa un miliardo e mezzo in più rispetto all’anno scorso.
Un maxi «obolo» per il quale il Tesoro non deve ringraziare solo il numero uno di via Nazionale, Ignazio Visco, ma anche il gran capo della Bce, Mario Draghi.
Vediamo perché. Il bilancio di Banca d’Italia è stato chiuso con un utile netto di 3,9 miliardi, «il risultato più elevato mai raggiunto dall’istituto, superiore di 1,2 miliardi a quello dello scorso esercizio», ha sottolineato il governatore Visco, durante il suo intervento all’assemblea annuale per l’approvazione dei conti 2017. A mettere il turbo ai profitti è stato «l’incremento del portafoglio titoli generato dalla politica monetaria espansiva deliberata dal Consiglio direttivo della Bce». Il cosiddetto quantitative easing (Qe, alleggerimento quantitativo), forse più noto come «bazooka» di Draghi, avviato nel marzo del 2015 è un piano di acquisto di titoli di stato e di altro tipo dalle banche per immettere nuovo denaro nell’economia europea, incentivare i prestiti verso le imprese e riportare il tasso di inflazione verso il target del 2%.
«I profitti di Bankitalia sono dunque da attribuire anche all’incremento del margine d’interesse, che ha beneficiato dei più elevati interessi attivi percepiti sui titoli di Stato acquistati per finalità di politica monetaria, in parte compensati dai maggiori interessi negativi sulle operazioni mirate di rifinanziamento a più lungo termine», ha spiegato Visco. L’attivo di bilancio è in effetti cresciuto del 20% a 931 miliardi, 157 miliardi in più rispetto allo scorso esercizio. Visco (il cui compenso resta stabile, a 450mila euro lordi l’anno) ha sottolineato inoltre che la Banca d’Italia deteneva a fine 2017 titoli di Stato italiani per 289 miliardi a seguito degli acquisti nell’ambito del programma di acquisto della Bce. I titoli detenuti per finalità di politica monetaria sono saliti nel 2017 del 4,5% e di 112 miliardi in valore assoluto raggiungendo i 358 miliardi. Il problema è che la Bce ha in pancia circa il 18% dei titoli emessi dal Tesoro, una percentuale incrementata progressivamente per effetto del piano di acquisto titoli, grazie al quale le nostre banche sono per buona parte riuscite ad affrancarsi dalla forte dipendenza dai bond tricolori. Il bazooka di Draghi ha di fatto messo in questi anni la museruola allo spread, ma il Qe, già dimezzato nel controvalore mensile (da 60 a 30 miliardi di euro), a ottobre potrebbe essere già al capolinea, con il rischio per l’Italia di finire nel mezzo di un nuovo attacco speculativo senza avere più alcuna protezione da parte di Francoforte.
Nel frattempo, a brindare agli utili di Visco non è solto lo Stato. Ai partecipanti al capitale di Palazzo Koch verranno distribuiti complessivamente 340 milioni, pari al 4,5% del capitale. Però, in base allo statuto, a chi possiede più del 3% di Bankitalia non spettano diritti economici e i corrispondenti dividendi, pari a 122 milioni, saranno imputati alla riserva ordinaria. Ciò significa che le cedole effettivamente versate ammontano a circa 218 milioni. Le quote dell’istituto di Vigilanza, a fine 2017, sono in mano a 124 soggetti (solo quattro detengono quote in eccesso rispetto a limite del 3%). Tra questi, 85 sono nuovi rispetto all’entrata in vigore della legge di riforma del 2014: 6 compagnie di assicurazione, 8 fondi pensione, 9 enti previdenziali, 20 fondazioni bancarie e 42 banche. In particolare le casse di previdenza dei professionisti a oggi detengono il 14,4% del capitale, avendo investito oltre un miliardo e diventando così «tra i maggiori azionisti».
Dal bilancio presentato ieri in assemblea, emerge anche che il personale di Banca d’Italia a fine 2017 era pari a 6.799 dipendenti. Mille in meno rispetto a dieci anni fa.
IL GIORNALE