Nuovi equilibri. Una sfida per l’Italia
Abbasso l’ordine internazionale liberale. E quindi abbasso la Germania, viva l’America di Trump e bene anche Putin. È meglio che l’Italia si schieri con i Grandi lontani che con i Grandi vicini europei: avrà meno vincoli e maggiore libertà d’azione. In estrema sintesi, la Lega e in parte i 5 Stelle – in parte: le posizioni dei due, anche in politica estera, non coincidono certo – propongono una visione internazionale del genere. Ciò significa che una percentuale consistente del nuovo Parlamento e un ipotetico governo futuro concepiranno la difesa degli interessi nazionali dell’Italia in modo diverso dalla tradizionale combinazione fra europeismo classico e atlantismo (o ciò che ne rimane).
Non si tratta di un peccato mortale: a differenza di quanto si tende a pensare, la valutazione degli interessi nazionali non è mai oggettiva, è politica e soggettiva. E quindi può evolvere nel tempo – anzi deve evolvere di fronte a un contesto esterno che si sta frammentando. Il problema vero è un altro: è di capire fino a che punto la visione di politica estera sovranista/populista sia credibile e possa garantire risultati efficaci per l’Italia.<
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L’Italia ha lo spazio e le capacità per giocare una carta «anti-establishment» in chiave internazionale? Prendere le distanze dal «cuore» europeo rientra davvero nei nostri interessi nazionali?
La risposta è no, per ragioni pragmatiche prima ancora che per scelte ideali. Anzitutto, non è nel nostro interesse nazionale scivolare politicamente fuori dall’area euro pur restando (almeno nel breve e medio termine) dentro le strutture dell’euro-zona. Sarebbe la ricetta per l’irrilevanza, proprio quando un’Europa fortemente divisa discute scelte importanti per gli anni futuri: dalla struttura del bilancio al completamento dell’Unione bancaria. I famosi vincoli europei resterebbero intatti, così come la nostra fragilità di Paese ad altissimo debito pubblico; e al tempo stesso perderemmo qualunque influenza politica. In particolare verso Francia e Germania, dove a tratti riappare la tentazione di immaginare un «nucleo duro» carolingio, che potrebbe escludere l’Italia (ma probabilmente non la Spagna). Lega e 5 Stelle sembrano avere ormai chiaro che l’uscita dall’euro avrebbe costi insostenibili per il nostro Paese; ne devono però derivare scelte politiche e alleanze coerenti. Flirtare con il gruppo di Visegrad non risolve nessuno, ma proprio nessuno (includendo l’immigrazione), dei nostri problemi. Per evitare uno scenario «Grecia-Plus», responsabilità economica nazionale e tavolo di Bruxelles restano essenziali: alternative realistiche non esistono, specie in una fase in cui la politica di sostegno della Banca centrale europea è destinata gradualmente ad esaurirsi. Se la tenuta dell’Italia costituisce una delle incognite principali per l’insieme dell’eurozona, questo non significa che i nostri conti verranno pagati dall’esterno; significa – con tanti saluti al sovranismo – che finiremmo sotto tutela. O sotto la frusta dei mercati.
Seconda ragione: puntare sull’America di Trump contro la Germania dalla Grosse Koalition è una scommessa, piuttosto che una scelta. Soprattutto perché la politica americana è oggi dominata dall’incertezza (come atout strategica), senza particolari garanzie per gli alleati. La Casa Bianca dell’America-first sembra quasi attratta da una logica del «tanto peggio tanto meglio»: tanto più si spaccano i vecchi assetti multilaterali, tanto meglio sarà per gli Stati Uniti in quanto attori comparativamente più forti. L’Italia, che è al massimo una media potenza, ha poco da guadagnare e qualcosa da perdere: ad esempio, la stretta sul commercio internazionale lede gli interessi di un Paese fortemente esportatore come il nostro, con un notevole surplus nei confronti degli Stati Uniti e una forte interdipendenza con la Germania. Su un piano diverso, la reticenza dei 5 Stelle a contemplare aumenti della spesa militare non renderà più semplici i rapporti con Washington e con la Nato. E Lega e 5 Stelle tenderanno a dividersi, su questo e su altri dossier rilevanti per la relazione con gli Stati Uniti.
Terza ragione: poco credibile è anche la capacità di tenere insieme – in una politica estera giocata appunto sui Grandi lontani invece che sui Grandi vicini – l’alleanza con Trump e l’ammirazione per Putin, come uomo forte (Lega) o come oppositore del vecchio ordine liberale internazionale (5 Stelle). Il clima fra Washington e Mosca non volge verso il bel tempo: per ragioni domestiche (Russiagate) e internazionali (il caso Skripal, gli allineamenti opposti sull’Iran), è difficile che la linea dialogante di Trump (il presidente americano ha proposto a Putin un incontro alla Casa Bianca) possa sortire dei risultati. Un’Italia platealmente filo-russa, in una fase tesa come quella attuale, entrerebbe in collisione sia con l’Ue che con Washington. E con la Gran Bretagna, ispiratrice di una Brexit vista con favore dalla Lega.
Come si vede, i rapporti con le due grandi potenze extra-europee non potrebbero compensare la debolezza a Bruxelles, dove si gioca, per l’Italia, la partita economica decisiva; anzitutto nella relazione con Germania e Francia. È indubbio che l’europeismo tradizionale abbia bisogno di aggiornamenti: poiché l’Europa è un contesto fortemente competitivo, non solo cooperativo, l’Italia deve aumentare in modo sostanziale la capacità di difendere, attraverso la politica europea, anche i propri interessi nazionali. Lo sgretolamento del vecchio «ordine» post-Guerra Fredda apre, assieme a moltissimi rischi, nuovi spazi di azione; e impone anche al nostro Paese una politica estera più dinamica, nel Mediterraneo anzitutto. Per muoversi in questo senso, tuttavia, l’Italia dovrà comunque fare leva su una posizione solida in Europa: questa resta la condizione necessaria, indispensabile, per essere un attore credibile. Illudersi che sponde extra-europee bilancino la nostra fragilità nel Vecchio Continente, non aiuterà.
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