Siracusa, l’autofinanziamento choc del museo: “Vendiamo frammenti di papiri”

noemi penna

«Il museo mette in vendita 20 frammenti di papiri greci e demotici della propria collezione, di accertata provenienza, acquistati circa dieci anni e, per quanto di conoscenza, inediti». L’ente in questione è il Museo del papiro Corrado Basile di Siracusa: una realtà «unica al mondo», «dedita al papiro e ai suoi usi», estensione naturale dell’Istituto internazionale del papiro fondato da Anna Di Natale e Corrado Basile, due nomi noti nel settore per il loro impegno nella ricerca papirologica, anche in collaborazione con Il Cairo. E l’inusuale annuncio, per quanto legale, non è passato inosservato, scandalizzato molti studiosi e appassionati per la scelta dei due ricercatori di privarsi di rari reperti risalenti a 1500 anni fa in modo così plateale, attraverso il sito internet e i social del museo.

 Caso non isolato

«La notizia è apparsa in forma di pubblicità sulla pagina Facebook di un mio collega», ha raccontato sul suo blog Roberta Mazza, curatrice del Museo di Manchester. «Abbiamo pensato a uno scherzo, ma sia la pagina Facebook che il sito del museo riportavano la stessa notizia». E contattando il museo, «attraverso la Papy-list, la mailing list dei papirologi», la direttrice Anna di Natale le ha risposto che «Il Museo del papiro ha deciso di mettere in vendita alcuni papiri della propria collezione per reperire risorse e realizzare altri progetti» ma «quali siano questi progetti non è per ora dato a sapere». L’episodio non è certo isolato: «Tra gli ultimi casi ricordo la vendita di alcuni papiri della collezione Bodmer al collezionista americano Steve Green e la vendita ad almeno tre collezionisti privati di alcuni papiri da Ossirinco da parte del Badè Museum of Archaeology di Berkeley – prosegue Mazza -.

Ma certamente un Museo del papiro che vende i suoi papiri rende la vicenda particolarmente surreale. Mi domando cosa pensino i membri dell’Istituto internazionale del papiro della vendita e che tipo di messaggio il museo pensi di trasmettere alle nuove generazioni, vendendo manoscritti antichi di cui il museo medesimo dovrebbe infatti essere custode».

 

“Scelta obbligata”

L’inserzione ha scaldato gli animi così tanto da portare la coppia a cancellarla dal sito, ma non a rinunciare alla vendita. «Siamo obbligati, la Regione ci ha dimezzato di anno in anno i contributi. Vendiamo perché abbiamo bisogno di liquidità per andare avanti», ha confermato Corrado Basile, precisando che la vendita «non è intesa per privati ma solo per enti. Siamo già in trattativa con università italiane e straniere che si sono dimostrate interessate alla nostra proposta».

Da oltre trent’anni l’Istituto internazionale del papiro porta avanti attività di ricerca tecnico-scientifica e storica sul papiro, sulle antiche tecniche di manifattura della carta di papiro, sul restauro di papiri antichi, nonché sulle tradizioni legate al papiro. Il tutto grazie a finanziamenti pubblici che ne hanno riconosciuto il loro valore e successo. Ma da quando la Regione ha chiuso i rubinetti – i 117 mila euro erogati per l’ente privato nel 2009 sono diventati 66 mila nel 2013 e 15.750 nel 2017 – tutto è diventato più difficile.

 

 

Valore incerto

Ma quanto si potrebbe guadagnare dalla vendita? «Difficile da dirsi, ci sono molti fattori che influiscono sulla cifra – spiega Federico Bottigliengo, consulente dell’archivio storico della casa d’aste Bolaffi -. Alcuni frammenti demotici vengono venduti a 100 dollari l’uno, ma si può arrivare a cifre più consistenti, come 10 mila euro per sette frammenti di un unico documento, sino agli oltre 60 mila per un papiro da un metro. In ogni caso si tratta di reperti molto rari, praticamente introvabili sul mercato». E poi c’è anche «l’incognita del contenuto». I papiri messi in vendita sono inediti, quindi non ancora tradotti. «Nella quasi totalità dei casi i documenti demotici che conosciamo sono di carattere commerciale: atti di compravendita di terreni o di grandi quantità di provviste. Se, una volta tradotti, si scoprisse che il loro contenuto è differente, magari a tema astrale, scientifico o culturale, il loro valore lieviterebbe in maniera esponenziale».

 

 

L’impegno della Città

«Questo tentativo di vendita è un grandissimo peccato perché spoglia la nostra città e la nostra regione di un patrimonio antico che appartiene all’intera comunità», afferma Francesco Italia, vice sindaco di Siracusa, nonché assessore alla cultura. In questi anni «il museo – pur essendo un ente privato – è sopravvissuto grazie alle sostanziose contribuzioni della Regione e della Provincia. E anche se il Comune non ha una competenza diretta su questo museo, ci impegneremo per evitare questa vendita, chiedendo però a Basile di fare uno sforzo e progettare modelli di gestione differenti che non si basino esclusivamente sui finanziamenti pubblici», sostiene Italia. «Il museo ha una sede di pregio, l’ex convento di Sant’Agostino in Ortigia, di proprietà della Regione, per cui verosimilmente non paga l’affitto. Poi può contare sugli introiti di biglietteria e sull’attività di ricerca e formazione che, anche se di nicchia, può contribuire a finanziare l’attività museale, oltre che a portare in città sempre più eccellenza». Insomma, una soluzione ci sarebbe per salvare il museo: uscire da una gestione esclusivista, collaborando con la città e condividendo gioie e dolori. Papiri inclusi.

LA STAMPA

 

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