«La sua è una logica annessionista» La rabbia di Berlusconi con Salvini
C’è il poliziotto cattivo (il grillino Di Battista) che lo definisce «il male assoluto». C’è il poliziotto buono (il grillino Di Maio) che lo invita a «cedere il passo». E infine c’è l’avvocato difensore (il leghista Salvini) che gli consiglia di patteggiare, mentre continua a stringere accordi con il leader di M5S senza informare l’assistito. Messo alle strette, Berlusconi sembra frastornato e intento a cambiare idea ogni minuto: tra i consigli di chi — come Gianni Letta — lo spinge a rompere con il suo avvocato, e i suggerimenti di chi — come Confalonieri — lo esorta invece a prender tempo. Messa così il patto di governo tra leghisti e cinquestelle sembra cosa fatta, a un passo dall’essere ufficializzato. Ma il passo che precede il traguardo è sempre il più difficile, ed è lì che l’apparenza spesso inciampa nella realtà.
«Il preludio della coltellata finale»
Non c’è dubbio che il Cavaliere sia sotto pressione e che Salvini si muova ormai in assoluta autonomia dagli alleati: né Berlusconi né la Meloni erano stati avvisati che la presidenza della Commissione speciale a Montecitorio — in quota centrodestra — invece di andare a Giorgetti sarebbe toccata a Molteni. Hanno appreso dalle agenzie che il capo del Carroccio aveva cambiato idea rispetto all’intesa chiusa al vertice di domenica, e soprattutto che lo aveva fatto «dopo una telefonata con Di Maio». «Se si sente con Di Maio, si metta in coalizione con Di Maio», è esplosa la leader di FdI davanti ad alcuni dirigenti di partito, che hanno definito la mossa di Salvini come «il preludio della coltellata finale» al Cavaliere.
«Di tempo non ce n’è»
Berlusconi il titubante è consapevole che il segretario leghista aspiri ad annunciare la fine di un’epoca, e infatti — dopo aver appreso incidentalmente la notizia — si è scagliato contro chi «si muove con una logica annessionista» e «si atteggia da protagonista. Forse troppo…». Anche perché sono troppi i dettagli da mettere a posto per riuscire nell’impresa. Per esempio, Di Maio accetterebbe di vedere Giorgetti alla guida del «governo del cambiamento» pur di non vedere Berlusconi nel governo? Sembra impossibile. E in ogni caso servirebbe tempo per realizzare il compromesso. Ma «di tempo non ce n’è». I grillini lo sapevano (e lo dicevano) già prima di salire al Colle per le consultazioni. Salvini lo ha appreso dalla viva voce di Mattarella, che dinnanzi alla richiesta di «un paio di settimane» ne ha accordata una. Il capo dello Stato non poteva accettare l’idea che i partiti scaricassero sulle istituzioni le loro tensioni politiche, e che il Quirinale venisse trasformato in una sorta di parafulmine, in attesa di regolare i conti con il voto delle Regionali e delle Amministrative. Perché le scadenze europee e l’emergenza internazionale dettata dalla situazione in Siria impongono di velocizzare la soluzione della crisi. C’è la necessità di sapere se Lega e M5S hanno una posizione comune in politica estera, se hanno intenzione di cambiare la storica linea atlantista dell’Italia. Poco interessa se Salvini ha deciso di lanciare il proprio candidato a sindaco di Terni, prendendo in contropiede gli alleati.
Se il Pd rompesse gli indugi
A un passo dal traguardo, leghisti e grillini si mostrano in affanno. E non sarà irrilevante la scelta di Mattarella se il secondo giro di consultazioni si concluderà con una fumata nera. Certo, un conto sarà decidere per un mandato esplorativo, altra cosa affidare un pre-incarico: in entrambi i casi la strada per arrivare a Palazzo Chigi si fa dura per Di Maio, mentre Salvini ha la carta di riserva, cioè Giorgetti, che è stato apposta preservato dalla presidenza della Commissione speciale. Ma i giochi potrebbero ancora clamorosamente cambiare. E non solo perché tra i Cinque Stelle si notano vistose crepe e il centrodestra, addirittura, ancora ieri non sapeva cosa andare a dire oggi al Quirinale. Se il Pd rompesse gli indugi e decidesse la mossa del cavallo, salterebbe ogni schema. Renzi ha solo un problema di timing: se lo sbagliasse sarebbe un disastro, altrimenti spariglierebbe gli schemi e si riaprirebbe tutto. Non era forse il renziano Giacomelli a dire giorni fa che «a me Giorgetti premier andrebbe benissimo»?
CORRIERE.IT