L’identikit del nuovo premier: Giorgetti o una “personalità”

O ci prendete tutti o non se ne fa niente. Dopo ventiquattro ore di alta tensione, il centrodestra mette da parte sospetti e malumori e sale al Quirinale cesellando un comunicato finale su cui si è ragionato fino all’ultima virgola, non senza qualche frizione.

A scriverlo fisicamente è stato Silvio Berlusconi che a Palazzo Grazioli ha preso carta e penna e insieme a Matteo Salvini e Giorgia Meloni ha trovato la quadra. Un documento che mette l’accento sullo spirito unitario della coalizione e pretende pari dignità per tutti gli alleati come condizione «invalicabile» e come «paletto irrinunciabile».

Certo, la stoccata finale del Cavaliere a Luigi Di Maio e al Movimento Cinque stelle esula dallo spartito prestampato ed è probabilmente il passaggio più spettacolare dell’intera giornata, anche se suscita più di una perplessità nel campo leghista e in quello di Fratelli d’Italia. Salvini non lo nasconde e spinge per sedare ogni aperta contrapposizione con i grillini. Tanto che in serata il presidente dei senatori leghisti Gianmarco Centinaio dice in maniera chiara che «le parole finali di Berlusconi al Colle non rispecchiano la posizione della Lega, né quella del centrodestra che oggi si è espresso in maniera unitaria e concordata». Al di là di questo, l’unico elemento che resta in sospeso è l’apertura a tutte le forze politiche «responsabili», apertura teorica visto che Salvini puntualizza subito la sua personale conventio ad excludendum nei confronti del Partito Democratico.

Chi si aspettava una accelerazione dopo questo secondo round di consultazioni può dunque mettersi l’anima in pace. Ci vorrà tempo, bisognerà attendere l’esito delle Regionali in Molise prima e in Friuli poi e dovranno maturare le condizioni per un governo, con ogni probabilità a guida leghista. «Ora il cerino passa al Movimento Cinque stelle», commentavano i tre leader dopo l’appuntamento quirinalizio. E anche nel colloquio con il capo dello Stato i leader del centrodestra chiedono a Sergio Mattarella di esercitare la propria moral suasion su Luigi Di Maio, essendo lui il vero ostacolo al varo di un governo con la sua pretesa di fare la selezione all’ingresso.

Naturalmente a questo punto è inevitabile che scatti il «totonome» sulla personalità del Carroccio che sarà chiamata a guidare l’eventuale esecutivo. Salvini ribadisce che sarà la Lega a scegliere il presidente incaricato, ma non si autocandida. È chiaro che il candidato più naturale sarebbe il capogruppo della Camera, Giancarlo Giorgetti, considerato la mente della Lega, bocconiano, ex presidente della Commissione Bilancio, uomo di cui Salvini si fida ciecamente. Una figura naturalmente votata alla mediazione, un sarto, un pontiere. Insomma l’uomo più adatto a tentare la difficile impresa di costituire una maggioranza in Parlamento, sondando un certo numero di parlamentari sia del Pd sia del Movimento Cinque stelle, sia dei gruppi minori qualora non si creassero le condizioni per precostituire una solida maggioranza parlamentare.

Gli altri nomi che circolano sono sostanzialmente due. Innanzitutto Giulia Bongiorno che pur essendo stata eletta con la Lega può contare sulla stima dei Cinque stelle e potrebbe diventare la prima donna premier della storia d’Italia, offrendo un importante elemento di novità. E poi la carta forse più forte, quella rappresentata da Luca Zaia, anche se ciò implicherebbe eventuali elezioni suppletive in Veneto, elezioni in cui dove la Lega sarebbe comunque sicura di vincere. Zaia è nelle grazie di Mattarella che lo stima molto. Il problema è che il governatore veneto sarebbe disposto a considerare l’ipotesi di Palazzo Chigi soltanto a fronte della certezza di una maggioranza blindata. Una condizione che allo stato attuale appare ancora come una ipotetica dell’irrealtà.

IL GIORNALE

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