È stallo, Salvini e Di Maio più lontani. La Lega spariglia: ci provi Casellati
La «sinergia istituzionale» c’è, il dialogo pure, ma sulla strada di un accordo tra i Cinque Stelle e la Lega resta come un macigno Silvio Berlusconi. In questa lunga giornata di incontri al Quirinale per il secondo giro di consultazioni, cominciata con i rappresentanti di Autonomie e gruppo misto e finita con i vertici del M5S, l’ostacolo a una possibile intesa tra Di Maio e Salvini è più che mai il vulcanico ex Cavaliere, che, in piedi accanto al leghista, incaricato dopo il colloquio con Mattarella di parlare per tutto il centrodestra, gesticola, annuisce, cambia posizione di continuo, fino allo show finale: spinge verso l’uscita Salvini e Meloni e si accaparra i microfoni: «Sappiate distinguere i veri democratici da chi non conosce l’Abc della democrazia». Una «battutaccia» contro il Movimento come la definisce Di Maio – pronunciata subito dopo che la dichiarazione del centrodestra si incaricava invece di un’apertura – capace di fare infuriare gli alleati del Carroccio e di Fratelli d’Italia e richiudere spiragli di governo.
«Noi vediamo solo una soluzione per sbloccare questo stallo: Berlusconi dovrebbe fare un passo di lato e consentire la partenza di un governo di cambiamento», invoca ancora una volta Luigi Di Maio. Una posizione «che abbiamo espresso più volte alla Lega», sottolinea infastidito.
Consapevole che in quella direzione non si riesce a sciogliere il nodo, e più ingarbugliata ancora appare la situazione nell’altro forno che aveva provato ad accendere: «Il Pd è fermo su posizioni che non aiutano, ma nessuno può sentirsi esente dal compito di dare un governo al Paese», prova a scuoterli. Invano, almeno per ora: saliti al Colle per primi nel pomeriggio, i dem ne escono con una dichiarazione di Maurizio Martina che ribadisce la posizione di «minoranza» e invita invece «le forze che hanno prevalso alle elezioni» a smetterla «con i tira e molla, le tattiche, i personalismi estremi».
Un invito a cercare di costruire un governo, «se sono all’altezza della situazione», e farlo presto: perché nei complicati equilibri interni irrompe la situazione internazionale, la crisi siriana per la quale, confida la capogruppo delle autonomie al Senato Julia Unterberger, il presidente Mattarella è «preoccupato per l’escalation e per come reagiscono le forze politiche in Italia». Forze che provano a rassicurare tutti, a cominciare dalla Lega («ribadiamo la lealtà all’Alleanza atlantica ma siamo fermamente contrari a qualunque azione unilaterale», scandisce Salvini) ma che in buona parte ritengono appunto, a partire da Di Maio, che la crisi mediorientale imponga «un’accelerazione sul nuovo governo». In che direzione, allora? Il centrodestra è pronto «unitariamente» a prendersene la responsabilità, per fare «cose concrete» come, elenca, taglio delle tasse, lotta all’immigrazione clandestina e riforma della giustizia, con un premier «scelto dalla Lega». Il M5S dice no a Berlusconi, «altrimenti l’unica risposta è che non riteniamo possibile un governo del M5S con FI». In questo impasse, oggi il capo dello Stato vedrà il presidente emerito Napolitano e i presidenti di Camera e Senato. E chissà, suggerisce il braccio destro di Salvini, Giancarlo Giorgetti, che dare l’incarico alla Casellati, la senatrice a capo di Palazzo Madama, non possa «smuovere le acque: potrebbe essere un modo per fare un sondaggio meno formale di quello del presidente della Repubblica». Ma tra i cinque stelle gira il sospetto che il prescelto possa essere proprio Giorgetti. All’ora di pranzo sarà Mattarella in persona o un comunicato a indicare la rotta.
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