E ora Di Maio teme un mandato a Fico. “Speriamo che il Colle scelga Casellati”
Un nome Luigi Di Maio teme più di altri, nell’ipotesi in cui Sergio Mattarella scegliesse di offrire un mandato esplorativo, come da prassi, a uno dei due presidenti di Camera e Senato. E il nome è quello che tante volte, in questi anni, è stato opposto al suo, come in un duello che in quanto tale, quando non si consuma, non ha mai fine. Il presidente della Camera Roberto Fico è una delle opzioni che il capo dello Stato ha in mano. L’altra è quella che in queste ore è sulla bocca di tutti: Maria E. A. Casellati, presidente del Senato, berlusconiana di ferro.
L’equazione che fanno in queste ore ai vertici del M5S è abbastanza logica, e si spiega con una strategia che ruota ancora attorno al fattore tempo. «Dare il mandato a Casellati sarebbe perfetto». Perché eviterebbe un faccia a faccia tra Di Maio e Fico, e leverebbe il leader dall’imbarazzo di dover dire no al suo compagno di partito. Ma l’esplorazione di Casellati sarebbe preferibile anche perché prevedibilmente andrà così, secondo i 5 Stelle: la presidente convocherà i partiti, cercherà di legittimare Silvio Berlusconi, tenterà di tenere assieme il centrodestra con il M5S, per ricevere, alla fine, un sonoro «no» da Di Maio. E in un certo senso non vedono l’ora di dirglielo, i grillini: per lavare il peccato originale di aver messo una delle guardiane giudiziarie del berlusconismo sulla sedia più pregiata di Palazzo Madama. «Farebbe un giro a vuoto e noi guadagneremmo tempo». I 5 Stelle fanno i conti dei giorni, calendario alla mano: se Mattarella offrisse il mandato a Casellati mercoledì, la presidente impiegherebbe una settimana prima di finire contro il muro del M5S. Sarebbero passate le elezioni in Molise e saremmo a ridosso di quelle del Friuli, il 29 aprile.</
A quel punto, Di Maio avrebbe rispettato l’impegno preso con Salvini. Il patto prevedeva di prendere tempo e scavallare il voto. «Se la Lega dovesse andare bene e Forza Italia male, Matteo romperà con Berlusconi» questa era la garanzia che Di Maio aveva ricevuto in cambio dal Carroccio.
È successo qualcosa, però, nelle ultime 48 ore che ha indurito Di Maio e ingarbugliato il percorso. I 5 Stelle non si aspettavano che Salvini cedesse a Berlusconi. Anzi. I «passi in avanti» nelle trattative che avrebbero voluto raccontare a Mattarella erano di fatto contenuti nel passo di lato di Berlusconi. Così i 5 Stelle dicono di aver capito dalla Lega e «da alcuni esponenti di Fi». Si sbagliavano, o qualcuno li ha raggirati. Sta di fatto che Di Maio quando si è seduto di fronte a Mattarella era terreo in viso. E ora va dicendo che Salvini lo ha «deluso», «è ostaggio di Berlusconi» e «non è coraggioso», confortato dalla convinzione che per il presidente della Repubblica «noi restiamo il perno di ogni scenario di governo».
E attorno a questo perno bisogna riprendere a far girare la giostra dei negoziati con la Lega. Certo, non aiutano le improvvisate di Di Battista che ieri ha paragonato Salvini – un’uscita non concordata – a Dudù, fedele barboncino del leader forzista: «Berlusconi parlava e lui muoveva la bocca». Due giorni fa aveva definito l’ex Cavaliere il «male assoluto», un’uscita alla vigilia delle consultazioni che nella cerchia di Di Maio non è stata propriamente vissuta come un assist favorevole. Ma Di Battista si fa interprete dei timori di Beppe Grillo e di molti parlamentari che nelle ultime ore sono tornati sospettosi sull’ex Cav e insistono sul voto come unica via d’uscita, anche perché i sondaggi stanno registrando una prima flessione del M5S prigioniero di estenuanti trattative.
Chiedono una doppia garanzia a Di Maio: che lui sia il premier e che non ci sia traccia di Fi nel governo. Il capo politico annuisce a chi di fronte allo stallo paventa le elezioni, e assicura: diremo no a qualsiasi governo istituzionale, del presidente o di emergenza, se la situazione in Siria dovesse precipitare. E no, ovviamente, direbbero a Salvini premier o al leghista Giancarlo Giorgetti. «In questo caso vorrebbe dire – secondo Di Maio – che vogliono un accordo con Renzi. Si farebbero male da soli».
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