Zero plastica, la generazione che non inquina

Caterina Soffici

Siccome c’è questa tendenza – abbastanza ridicola direi, ma tant’è – a trovare definizioni un po’ a tutto, li hanno chiamati Gen-Zers, che sarebbero gli appartenenti alla Generazione Zero, ossia Zero plastica e rifiuti.

 Solo una manciata di anni fa erano sparuti gruppuscoli che il mondo guardava con una certa sufficienza. Della serie: poveri illusi, pensate di salvare il mondo con i vostri blog dove spiegate come in un anno avete prodotto solo un sacchetto di rifiuti. I giornali britannici li intervistavano nelle loro cucine piene di barattolini di vetro, nei bagni con spazzolini da denti di legno e setola vegetale, mentre tornavano dalla spesa con le borse di stoffa. Più eccentrici e stravaganti fenomeni da baraccone che eroi moderni.

Chiudetevi pure nei vostri circolini di fighetti ecologisti, moderni hippie anti sacchetti e imballaggi, voi famiglie a zero impatto ambientale, che lavate i piatti (e la coscienza) usando il bicarbonato al posto del sapone nelle bottiglie di plastica. Fate pure, ma io non ci casco, era la reazione generale. Siete cugini primi di quei fanatici della decrescita felice. Siete come il bambino che vuole svuotare il mare con il cucchiaino.

 

Poi mezzo mondo ha visto con i propri occhi alcuni documentari sconvolgenti sull’inquinamento dei mari: «A Plastic Ocean» degli oceani, prodotto da Netflix nel 2016; «The Plastic Soup», «Garbage Island: An Ocean Full of Plastic». I titoli parlano da soli. Le immagini sono agghiaccianti. I dati ancora di più. Oltre 5,3 miliardi di pezzi di plastica galleggiano nei mari, le correnti formano delle isole di rifiuti, dette Gyre, grandi come continenti: solo quella nel Nord Pacifico è grande 34 volte la superficie di Olanda, Francia e Spagna messe insieme. Ogni anno negli oceani vengono riversati 8 milioni di tonnellate di rifiuti plastici non degradabili, significa che resteranno a galleggiare e rilasciare molecole tossiche per sempre. Se andiamo avanti così nel 2050 ci sarà più plastica che pesci.

 

E così i Gen-Zers sono diventati una moltitudine e a differenza delle definizioni generazionali classiche, non hanno una dimensione anagrafica ma sono trasversali alle età e ai gruppi sociali e anche alle disponibilità economiche, perché essere Zero Plastic non costa di più. Anzi, in certi casi si risparmia. E così oltre alle varie campagne di sensibilizzazione (in Uk anche governative per arrivare a una nazione a zero impatto plastico), le librerie si riempiono di manuali su come vivere zeroplasticamente (uno per tutti: Plastic Free: How I Kicked the Plastic Habit and How You Can Too, Come ho smesso con la plastica e come puoi farlo anche tu), si possono scaricare App che spiegano i 100 modi per diventare Zeroplastici, e nascono i primi negozi dove la plastica è bandita come l’aglio in un negozio per streghe.

 

Nel Devon hanno aperto The Zero Waste Shop, il primo in tutta Uk , che si accinge a diventare una catena. Niente sacchetti, solo contenitori riciclabili, distributor di latte, yogurt, detersivi etc… Due mamme londinesi, Sian Sutherland e Frederikke Magnussen, hanno aperto addirittura un supermercato Plastic Free ad Amsterdam. Si chiama Ekoplaza. I sacchetti sono di amido, zucchero o cellulose. Costano solo 1 cent in più che se fossero di plastica. Si buttano nell’umido e dopo 12 settimane sono biodegradati. Tutto il resto è carta, cartone o vetro. Le due hanno impiegato sei mesi per trovare i 700 prodotti adatti per il supermercato e i prezzi non sono più alti dei supermercati di plastica.

 

Proprio nei giorni scorsi è uscita una nuova notizia sconvolgente: solo negli Usa si usano 500 milioni di cannucce ogni giorno. Il corrispettivo di 125 scuolabus ogni giorno. In un anno 46.400 scuolabus. Tra i 5 e i 65 anni un americano usa in media 38 mila cannucce di plastica. Che fare? Ci pensa un giovanissimo Gen-Zer di nome Milo Cress: ha nove anni e ha dato vita a una campagna contro le cannucce di plastica: «Be Straw Free Campaign». Non sa che sta vuotando il mare con un cucchiaino. A lui basta togliere quelle pagliuzze di plastica dagli occhi delle balene e delle tartarughe di mare.

LA STAMPA

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