Governo, ipotesi M5S-Pd: la palla passa a Renzi
Nell’apprendere che il suo mandato durerà un batter d’occhi, e che dovrà limitarsi a constatare se c’è il famoso accordo Salvini-Di Maio, Elisabetta Alberti Casellati non ha nascosto un filo di delusione che si è colto davanti alle telecamere. Dal Presidente della Repubblica si sarebbe aspettata un po’ di respiro, e comunque lei avrebbe volentieri esplorato anche altre piste, in particolare quelle che portano al Pd. Scoprire ad esempio che Matteo Renzi sarebbe disponibile a fare un patto col centrodestra (tesi puramente ipotetica), farebbe molto contento il leader cui la Casellati deve tutto, cioè Silvio Berlusconi. Invece no: le reali intenzioni del Pd sono un accertamento che Sergio Mattarella non le richiede. Anzi, nel comunicato ufficiale ha espressamente escluso.
Il triangolo no
Dunque verrebbe da chiedersi a che serva investire altri tre giorni (che dalle elezioni del 4 marzo fanno già 48) in una verifica così «mirata», di cui oltretutto fin da adesso è facile intuire l’esito: un buco nell’acqua. I Cinquestelle non sono disposti a «inciuciare» con Forza Italia, e la Lega non intende rompere coi suoi alleati.
La risposta più ovvia, dunque, è che forse di questa esplorazione si poteva fare a meno passando direttamente alla mossa successiva; per esempio, chiedendo al presidente della Camera Roberto Fico di sondare l’altra ipotesi di governo M5S-Pd. Logico, no? Ma se la stessa domanda viene girata ai frequentatori del Colle, la spiegazione che là si riceve non è altrettanto banale e scontata. Da quelle parti si fa notare come sia impossibile avviare un negoziato serio tra Cinque stelle e «Dem» fino a quando Di Maio avrà per così dire l’amante, politicamente rappresentata da Salvini. Nessun governo potrà nascere finché esisterà questo triangolo. Non a caso, dalle parti di Renzi hanno sempre rifiutato le avance grilline sostenendo che erano solamente un trucco per fare ingelosire la Lega o, scegliendo un linguaggio più consono, per mettere in concorrenza due forni, quello Pd e l’altro padano.
Niente più scuse
L’apparentemente inutile «mission» della Casellati serve dunque a eliminare pretesti, si spera al Quirinale, una volta per tutte. Salvini deve chiarire le sue intenzioni rispetto ai Cinque stelle. Gli viene richiesto di scoprire le carte adesso e senza che tutti attendano per altri dieci giorni i comodi suoi, vale a dire le elezioni in Friuli del 29 aprile dove la Lega spera in un trionfo. E una volta accertato che Salvini non rompe con Berlusconi, dunque il «forno» della Lega ha chiuso definitivamente, a quel punto il Pd non avrà più questa scusa per rifiutare una trattativa con i grillini. Chiuso il «triangolo», cesseranno anche gli alibi. Renzi potrà sostenere che i Cinque stelle ne hanno dette troppe sul suo conto, dunque giammai farà un governo con gente così; però Matteo sarà poco creduto se insisterà che tocca a M5S e Lega trovare l’intesa: una volta constatato che è defunta, risuscitarla sarà difficile. Non a caso, gli sguardi sono già tutti proiettati al «dopo», a quanto succederà da domani sera, quando l’esploratrice sarà tornata sul Colle presumibilmente a mani vuote.
Le prossime mosse
In realtà, spiegano ai piani alti, non è importante che cosa farà Mattarella. Conta piuttosto che cosa sta maturando nella testa di Renzi. Il quale da mesi ha interrotto i contatti col Quirinale, probabilmente offeso dalla conferma di Ignazio Visco alla Banca d’Italia, e da qualche giorno risulta una sfinge pure con gli amici. Se darà il via libera a un negoziato serio, di tipo programmatico, allora il Capo dello Stato adotterà la formula più adatta per assecondarlo. Potrà lanciare in pista Fico, anche lui in tenuta kaki da esploratore; o magari darà un pre incarico a Di Maio nel caso in cui il Pd evitasse di sollevare veti sulla sua persona. Al momento, entrambe le strade sono possibili a patto, naturalmente, che Casellati non scopra qualcosa di nuovo sulla destra. Il metodo è rispettoso dei partiti e Di Maio ne ha voluto rendere pubblicamente atto a Mattarella. Il quale sta accendendo un credito con tutti, se alla fine per caso si accerterà che l’unica via d’uscita è il tanto temuto governo «del Presidente».
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