È finita la pazienza del Colle
Tanto tuonò che piovve. Il mandato esplorativo (da non confondersi con incarico di governo), affidato da Mattarella alla presidente del Senato Alberti Casellati colpisce, non per la scelta in sé, già nell’aria da qualche giorno, dopo il fallimento del secondo giro di consultazioni, ma per il contenuto limitato e la scadenza temporale brevissima: già domani, quando l’Esploratrice – che ieri sera aveva già ricevuto le delegazioni dei partiti del centrodestra e del Movimento 5 stelle e oggi procederà a un nuovo giro di incontri -, dovrà tornare sul Colle a riferire. Con il vento che tira, e con le prime reazioni registrate, si può dire che invece di approfondire l’eventualità di un’alleanza tra centrodestra e M5S, la presidente si trova a certificarne l’impossibilità. E potrà dirsi fortunata, se riuscirà a non restare coinvolta nello scambio di accuse, veleni e tossine che inevitabilmente accompagneranno il naufragio dell’ipotetico governo dei vincitori.
Ma dalle parole del comunicato del Colle è lecito trarre anche qualche impressione sullo stato d’animo e sul cambio di strategia del Capo dello Stato. Mattarella, s’intuisce, s’è stancato di aspettare. Se l’attesa servisse a qualcosa, avrebbe la pazienza necessaria per sopportarla.<
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Ma con partiti che rispetto all’attacco missilistico sulla Siria e alla grave crisi che ne è seguita, o sono rimasti indifferenti, o peggio hanno colto l’occasione per mettere in discussione le alleanze storiche e la collocazione internazionale dell’Italia, e per sottolineare le divisioni createsi all’interno dell’Unione europea, è naturale che il Presidente della Repubblica sia stufo. Né avrà avuto ragioni di tornare fiducioso davanti al leader della Lega Salvini, che, fissandoli a metà maggio, dettava i tempi della formazione del nuovo governo, senza accorgersi di entrare in un campo di specifica competenza del Capo dello Stato. Di qui il tono, i contenuti e i tempi prefissati della sua iniziativa.
A meno di miracoli che non sembrano all’ordine del giorno, il tentativo della Alberti Casellati è destinato a un rapido fallimento. Dopo di che, avuta la conferma dell’impraticabilità della formula centrodestra-5 stelle, non è da escludere che Mattarella si rivolga al presidente della Camera Fico, per affidargli un’analoga esplorazione sul versante 5 stelle-Pd.
Tutto è possibile, e in queste ore si moltiplicano sforzi di ogni tipo in questo senso: ma che in pochi giorni il partito di Martina, affaticato da un implacabile scontro interno, ritrovi miracolosamente l’unità, per correre all’abbraccio con Di Maio, è difficile. Sicuramente non sarebbero di questo avviso Renzi e la pattuglia dei senatori renziani che sono in grado con i loro numeri a Palazzo Madama di impedire che si formi una maggioranza siffatta. E se il prezzo di un’intesa fosse la rinuncia di Di Maio alla presidenza del Consiglio, si può scommettere che sarebbero i 5 stelle a tirarsi indietro. Così, nel giro di una settimana o poco più, la melina che finora ha alimentato le chiacchiere sulla crisi di governo e la propaganda per le elezioni regionali in Molise e Friuli, verrebbero definitivamente svelate. E il Presidente sarebbe finalmente libero di imporre una propria soluzione, in nome dell’urgenza, per i cittadini e il Paese, di avere un esecutivo nel pieno dei suoi poteri.
Si tratterebbe, com’è ovvio, di un governo di transizione, di durata limitata – e con queste caratteristiche sostenuto in Parlamento sperabilmente da tutti o quasi tutti -, incaricato di provvedere di qui alla fine dell’anno agli impegni più urgenti: i documenti economici che l’Europa aspetta, la manovra finanziaria e le leggi di bilancio, i vertici internazionali già programmati, la sorveglianza del delicato quadrante mediterraneo, con gli imprevedibili aspetti di coinvolgimento che potrebbero riguardare l’Italia. Solo successivamente, e sempre che l’evoluzione politica dei rapporti tra le diverse forze in campo lo consenta, si potrebbe pensare a un nuovo tentativo di comporre una maggioranza.
Da ieri, com’è ovvio, tutti si chiedono cosa abbia spinto Mattarella all’accelerata. C’è chi risponde che, chiusa ormai la finestra per un ritorno alle urne prima dell’estate, il Presidente, consapevole che i parlamentari neoeletti non hanno alcuna voglia di tornare a casa, ha rotto gli indugi, cercando di indirizzare su binari di trasparenza e razionalità una crisi che rischiava l’impazzimento. C’è chi sostiene che è una mossa azzardata, perché i partiti dimostratisi irresponsabili finora potrebbero arrivare a dire di no anche a una soluzione dettata da uno stato di necessità, inscenando una sfida inaudita con il vertice delle istituzioni. Dio non voglia, sarebbe un suicidio. La verità è che Mattarella ha agito serenamente, convinto che non c’era altro da fare, perché la situazione stava ormai superando i limiti della decenza.
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