Diaz Canel presidente dopo 60 anni di Castro
Le doti principali di Miguel Diaz Canel sono la riservatezza e la prudenza, e hanno determinato la sua scelta come successore di Raul Castro alla presidenza di Cuba, che a meno di sorprese clamorose verrà ufficializzata oggi. Proprio questo basso profilo, però, ha alimentato l’enigma sulla sua figura. I critici lo considerano uno strumento di Raul, incaricato di garantire continuità del regime, all’ombra del figlio Alejandro; i sostenitori sperano che riesca a rilanciare le riforme, frenate nell’ultimo anno dall’elezione di Donald Trump e non solo. Nella strade però la gente sembra indifferente, e in molti casi non sa neppure che per la prima volta in quasi sessant’anni il presidente cubano non farà Castro di cognome.
Diaz Canel è nato l’anno dopo «il trionfo della rivoluzione», e quindi non solo è il primo leader del Paese non appartenente alla famiglia che l’aveva fatta, ma è anche il primo che non l’ha nemmeno vista. È cresciuto come segretario del Partito comunista nella provincia di Santa Clara, quella adottata da Che Guevara come la sua casa, dove era conosciuto per i suoi modi informali: capelli lunghi, bermuda, e bicicletta per andare al lavoro.
Era un difensore dei diritti dei gay, come la figlia di Raul Mariela, e dopo essere entrato nel Politburo aveva guadagnato un posto rilevante sulla scena politica nazionale diventando ministro dell’Istruzione. Dicono che sia un riformista come Raul, favorevole ad esempio a potenziare l’uso di Internet sull’isola, a patto che le riforme non minaccino il regime e la rivoluzione. Grazie a questa riservatezza è riuscito a diventare primo vice presidente, riuscendo a sopravvivere ad una lunga schiera di presunti delfini caduti, proprio perché non ha mostrato ambizioni capaci di minacciare la primazia dei Castro. Assume la presidenza sotto la tutela di Raul, che restando capo del Partito fino al 2021 continuerà ad avere l’ultima parola su tutto. Fonti informate dicono che il vero leader ombra sarà suo figlio Alejandro, che attraverso le forze armate controllerà le attività vitali del Paese.
Il momento è molto delicato, perché le stesse riforme avviate da Raul hanno rallentato. Da una parte, infatti, il regime ha subìto il contraccolpo dell’elezione di Trump, che ha cancellato molte delle aperture fatte da Obama; dall’altra ha frenato l’evoluzione verso una limitata economia privata, temendo che gli sfuggisse di mano. L’ambasciata americana è rimasta aperta, ma il personale è ridotto al minimo, dopo lo strano caso delle lesioni all’udito subite da diversi diplomatici.
Il flusso dei turisti è diminuito, così come quello degli investimenti internazionali. Il regime continua a vantare che tutti vanno a scuola, il rapporto tra medici e abitanti è il più alto dell’America Latina, e l’aspettativa di vita è 79 anni. Però i beni alimentari sono razionati, e Cuba importa persino la frutta tropicale perché non riesce neppure a raccogliere quella che produce. La sfida di Diaz Canel sarà risolvere queste emergenze e rilanciare l’economia, senza minare la rivoluzione e perdere la fiducia di Raul.
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