L’orgoglio del Cavaliere Il giorno del “vaffa” ai fabbricatori di odio
«Potrebbero pulire i cessi, se fossero dipendenti di Mediaset». Silvio Berlusconi ieri sembrava John Wayne nel vecchio film di John Ford Un uomo tranquillo, l’uomo che rifiuta la rissa, ma che è costretto a togliersi la giacca e mettere ko l’arrogante che non conosceva limiti.
Magari ci sarà stato anche un pizzico di tattica, forse anche il desiderio di farla finita e tagliare l’erba sotto le scarpe di Salvini alla ricerca di un accordo a tutti i costi e per questo fine mette il Cavaliere e Di Maio sullo stesso piano di petulanti ragazzi che non smettono di azzuffarsi. Alla pari. Alla pari un accidente, ha replicato Berlusconi. E ha inaugurato fatto inedito in una biografia politica istituzionale, talvolta ovattata il suo Vaffa Day. Vaffanculo a tutto il teatrino psichiatrico pauperistico. Ai luoghi comuni innaffiati dai giornali che tifano Di Maio quando sostiene che cinque milioni di voti a Berlusconi e a Forza Italia puzzano, non sono agibili. Ma che sono colti da crisi isteriche se Berlusconi dice quel che tutte le persone sane di mente dicono. E cioè che il circo equestre Cinque stelle è fatto di un’accolita d’incapaci, di disoccupati assenteisti e piagnoni pauperisti, tutti divorati dall’invidia. Simbolo araldico: mano rampante in campo altrui. Stavolta oltre al fattore politico ha giocato il fattore umano, il carattere. Berlusconi non è stato mai pazzo per gli estremisti. Semmai per Gianni Letta che è un consigliere impermeabile agli schizzi di adrenalina. Anche Berlusconi è fatto così: non setoso ma istituzionale. Talvolta compassato.
Battutista sì, ma dietro le quinte. Impersona l’Homo Faber che fabbrica ricchezza e dà posti di lavoro. È lo stesso che non ha mai voluto dare un’impronta ideologica alle reti Mediaset perché tutti gli utenti vanno rispettati. Ecco, quel Berlusconi lì, ieri, ha appeso la giacca, si è tirato su le maniche e ha tirato quattro ceffoni non umorali da togliere la faccia: «A Mediaset potreste al massimo pulire i cessi» è un’espressione più distruttiva di qualsiasi «Vaffa» di Beppe Grillo. Nell’insurrezione personale del Berlusconi di ieri si legge la fibra di chi conosce la gerarchia del lavoro produttivo perché sa che è il lavoro che crea la ricchezza da ripartire e non da arraffare come reddito da sbafo, l’unica carta dei Cinque stelle. Il reddito da sbafo è la riedizione del mitico albero della cuccagna e di quel che faceva un sindaco di Napoli che regalava una scarpa prima del voto e l’altra dopo. Sia il Di Maio mondano e multitasking che il Dibba della Foresta e il Fico guevarista hanno avuto la faccia tosta di implorare comprensione: «Mettetevi nei nostri panni – hanno detto senza pudore a Forza Italia e a Berlusconi -. Noi abbiamo spacciato un prodotto avariato ma di pronto incasso: l’odio. E adesso dobbiamo dimostrare che è ancora attivo. Se i nostri elettori si accorgono che l’odio era finto capiscono di essere stati truffati e ci linciano. Dunque, aiutateci e non fatevi vedere in giro con noi». Lo fanno con la stessa spudoratezza con cui i nazional-socialisti hitleriani spargevano odio sugli ebrei, sotto-uomini ridicolizzati e inavvicinabili. La fine è nota. Questa gente ha smerciato odio sapendo che l’odio dà un profitto, ma è deperibile. Il tossicodipendente dell’antiberlusconismo ritualistico è più vicino ai riti voodoo che a Voltaire. Ecco perché la loro spudoratezza è arrivata a chiedere a Berlusconi e ai suoi elettori di nascondersi, non comparire nella foto di gruppo. E poi la sorpresa: anziché una vellutata rassicurazione, Di Maio e i suoi si sono presi il più bruciante «Vaffa» della loro storia e che probabilmente li sbatterà fuori dal pallottoliere con cui fare un governo. Berlusconi ha incenerito la messinscena. Che vadano pure al diavolo e se il diavolo è di gusti rozzi, se li terrà.
IL GIORNALE