Allo studio la squadra M5S-Carroccio con l’incognita presidente del Consiglio
Nelle telefonate e nei messaggi di ieri tra i leader di Lega e M5S due sono i concetti fondamentali: no a un governo istituzionale e no ad accordi col Pd. Sul secondo punto è Salvini a insistere maggiormente, ma Di Maio è consapevole che se si aprisse davvero il «forno» coi dem con un incarico esplorativo a Roberto Fico le sue chance di arrivare a palazzo Chigi andrebbero in picchiata. E così si torna ai giorni subito dopo il voto del 4 marzo, all’asse Salvini-Di Maio per un governo che, nelle intenzioni dei leghisti, dovrebbe tenere dentro anche Fratelli d’Italia.
Guidato da chi? La partita è apertissima. Senza Forza Italia, i numeri delle urne indicherebbero Di Maio. Ma in casa Lega si ragiona sul fatto che «finora abbiamo fatto un lavoro enorme per i cinque stelle. Se rompiamo con Berlusconi per fare un governo con loro, non possono pretendere palazzo Chigi». La corsa per la presidenza del Consiglio è sostanzialmente a tre: Di Maio, Salvini e Giancarlo Giorgetti, il leghista bocconiano e filo atlantico, volto istituzionale e poco ruspante del Carroccio, assai più gradito al Quirinale rispetto al leader leghista. Da questa casella discendono tutte le altre. In queste ore negli staff dei due leader si sta iniziando a ragionare sull’ossatura di una possibile squadra. Se la premiership andasse a Di Maio, Salvini sarebbe vicepremier e ministro dell’Interno e Giorgetti andrebbe all’Economia.</
div>
Tra i leghisti si fanno i nomi dell’avvocato Giulia Bongiorno per la Giustizia, di Armando Siri (ispiratore della legge sulla flat tax) per lo Sviluppo Economico o i Trasporti, di Claudio Borghi per l’Agricoltura e dell’economista Alberto Bagnai per l’Istruzione. Le caselle non sono state assegnate e di qui alla possibile formazione del governo giallo-verde potrebbero variare parecchio. Ma la squadra leghista non prescinde da questi nomi.
Anche in casa M5S ci sono nomi su cui non si discute. Uno di questi è Alfonso Bonafede, deputato fedelissimo del leader. Avvocato, anche per lui si parla della Giustizia. Un altro nome forte è Vincenzo Spadafora, neodeputato, consigliere politico di Di Maio e regista della fase due del M5S, quella che ha portato «Luigino» ad accreditarsi come uomo di governo, da Cernobbio alle cancellerie internazionali. Un altro nome in ascesa è Stefano Buffagni, commercialista a Milano, ex consigliere regionale della Lombardia.
Della squadra presentata da Di Maio alla vigilia del voto, decisamente connotata a sinistra, si salverebbe il professore e neo deputato Lorenzo Fioramonti (Sviluppo economico), che ha lasciato la cattedra in Sud Africa per candidarsi col M5S. Non ha mai escluso l’asse con Salvini: «Anche nella Lega hanno capito che il reddito di cittadinanza non è una misura assistenziale, ma aiuterebbe a riconvertire il sistema produttivo», ha spiegato. La delicatissima casella degli Esteri dovrebbe toccare al M5S o a un tecnico. L’atteggiamento filo Putin di Salvini sul caso Siria sconsiglia infatti al Quirinale di nominare un leghista. Il nome indicato da Di Maio, la professoressa Emanuela Del Re, è sparito dai radar. La scelta potrebbe cadere sul segretario generale della Farnesina Elisabetta Belloni, scelta da Gentiloni e stimata dai grillini.
Altre figure della squadra M5S, come l’economista Andrea Roventini, appaiono poco inclini a partecipare a un governo con la Lega. Stessa discorso dovrebbe valere per l’economista keynesiano Pasquale Tridico, nemico del Jobs Act e indicato per il ministero del Lavoro. Per la Sanità in casa Cinque stelle corrono due medici: l’attuale capogruppo alla Camera Giulia Grillo e l’oncologo Armando Bertolazzi.
LA STAMPA