Di Maio scarica la Lega Parte la trattativa con il Pd
Dopo l’incontro col sul compagno di partito Roberto Fico, incaricato dal Quirinale di esplorare una possibile intesa di governo tra Pd e M5S, Luigi Di Maio spara la bomba: «Voglio dirlo ufficialmente: per me qualsiasi discorso con la Lega si chiude qui». Motivo: «Salvini e il suo partito hanno deciso di condannarsi all’irrilevanza per rispetto del loro alleato».
Di Maio, nel suo discorso, ha ribadito l’idea di un contratto di governo, ha specificato che ogni intesa possibile «sarà sottoposta al voto dei nostri iscritti sulla piattaforma Rousseau» e ha avvertito: «Se fallisce questo percorso per noi si deve tornare al voto: non sosterremo nessun altro governo, tecnico, di scopo o del presidente».
Martina e Di Maio non si nascondono le grandi difficoltà di questo eventuale cammino comune. Anche per i numerosi «trascorsi» polemici tra i due partiti. E tuttavia il primo scoglio sembra superato. Ora c’è il secondo, di cui la delegazione dem (composta anche dal presidente Orfini e dai capigruppo Delrio e Marcucci) non ha ancora parlato con Fico: e cioè la premiership: il Pd non vuole Di Maio. Oltre ai programmi, visto che il segretario dem ha ribadito la necessità di una «agenda europeista» contro ogni ipotesi sovranista e di politiche del lavoro «rispettando gli equilibri di finanza pubblica». La necessità dunque di partire dai 100 punti del programma dem, senza abiura rispetto al lavoro fatto dai governi Renzi e Gentiloni.
Ma a rendere davvero difficile l’operazione è il muro alzato dai renziani al grido di #senzadime sui social. «Io sono e resto contrario», dice Orfini, seguito da Andrea Marcucci («I punti di contatto sono pochi e superficiali») e da altri parlamentari come Ivan Scalfarotto, Alessia Morani, Sandro Gozi, Ernesto Magorno, Anna Ascani, Davide Faraone. Durissimo Michele Anzaldi, falco renziano: «Questa presunta apertura di Martina mi sembra un capolavoro di tafazzismo». E a Salvini che accusa di Maio di «amoreggiare con Renzi», Anzaldi replica: «Non è così, c’è una parte del Pd che ascoltando il Colle sta dando credito al tentativo di Fico, non è Renzi».
Ma il fronte opposto, quello dei dialoganti, si allarga: oltre a Michele Emiliano, Andrea Orlando, Dario Franceschini e i governatori Zingaretti e Chiamparino, il sindaco di Milano Sala, si schierano Fassino e Marianna Madia, la prodiana Sandra Zampa e il braccio destro di Veltroni, Walter Verini. E Paolo Gentiloni, che tace ma viene contato tra i dialoganti.
Un partito spaccato in due, che si avvia a una pericolosa conta in direzione, dopo che già la delegazione ricevuta ieri da Fico ha faticato a tenere una linea comune, con Martina sbilanciato sul dialogo e Delrio a metà strada. Il capogruppo alla Camera parla di «differenze profonde» tra Pd e M5S, ma non esclude di percorrere la via del dialogo. E sostiene che «non ci sarà un appoggio esterno, le vie di mezzo non sono serie».
Il Pd ha chiesto tempo per metabolizzare la svolta. Renzi dalla sua ha due vantaggi: in direzione il fronte governista non è ancora riuscito nel ribaltone. E per fare un governo Pd-M5S servono tutti i dem. All’ex leader basta un manipolo di senatori fedeli per far fallire l’operazione. Su Twitter, i renziani hanno lanciato anche l’hashtag «#renzitorna». Un modo per dire che Martina non li rappresenta più. Domani nuovo round di consultazioni di Fico.
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