Trattativa col M5S, Pd lacerato Adesso Martina rischia il posto
La situazione è grave e stavolta anche seria nel Pd, che si può ritrovare di qui a una settimana senza più neanche un «reggente» a tenere la barra di una barca in preda ai flutti. Quando (e se) mercoledì in Direzione si consumerà infatti la prima vera resa dei conti su due linee contrapposte, quella dei «governisti» e quella del «no ai grillini», l’esito infausto potrebbe essere quello di un partito acefalo. Visto che i renziani fanno sapere che le dimissioni di Martina potrebbero essere la logica conseguenza di una sconfitta dei «governisti». Di cui il reggente è ormai il portabandiera conclamato. Specie a sentire le ultime parole da Vespa: dopo lo scontro al vetriolo con Orfini e Marcucci che l’altro giorno hanno stoppato la sua voglia di aprire ai grillini, oggi al secondo incontro con Fico, Martina vorrebbe andare a dire di «accettare la sfida di M5S» e che «il Pd deve giocare in attacco, anche con Renzi». Perché senza di lui non si può far niente. «Un’intesa con M5S? Ci proverò fino in fondo». Apriti cielo.
E qui si inserisce una novità di ieri, che scompagina i giochi di un partito in stato confusionale: un viceministro autorevole come Antonello Giacomelli, già molto vicino a Franceschini e ora più vicino a Luca Lotti, ha chiesto che «Renzi ritiri le dimissioni» per occuparsi in prima persona di questa fase, che richiede una leadership salda in grado di assumersi responsabilità. Un salto in avanti che, a sentire gli uomini dell’ex leader, non è stato concordato con Renzi. Il quale pare non abbia intenzione di fare marcia indietro.
Anche se a sentire altre voci del giglio magico, Matteo ha di sicuro gradito questa suggestione, anche perché sui profili social dei falchi molti chiedono un suo rientro a gran voce. «Giacomelli comincia a dar voce ad una cosa che forse Matteo comincia a pensare. D’altra parte la reazione della base su Twitter l’altro ieri, della serie Renzi torna tu, fa capire che più la situazione si ingarbuglia, più verrà invocato il suo ritorno».
Dunque questa settimana sarà cruciale per il Pd. Che confida nella pazienza del Colle, che potrebbe dare una proroga a Fico e che forse sarebbe più contento se il Pd non si spaccasse come una mela in tale situazione. Renzi ha fatto convocare una riunione del gruppo al Senato mercoledì, stesso giorno in cui si terrà la Direzione, dove i numeri sono a suo favore. Ma dove la conta potrebbe appunto produrre disastri. Dario Franceschini, con i suoi, non nasconde la sua preoccupazione: non solo per il rischio del voto divisivo, quanto per il fatto che un partito che si unisce può gestire una situazione così difficile, se si divide è complicato.
Lo stallo, infatti, può comportare lo stop a qualunque percorso di dialogo. Perché se il Pd è spaccato non si va da nessuna parte, servendo tutti i voti dei gruppi di Camera e Senato per poter dar vita ad un governo. E se c’è chi non dispera in una mediazione tra i Dem per ammorbidire il «niet» di Renzi, nel governo c’è anche chi sospetta che l’ex segretario invece stia già trattando di nascosto con i vertici grillini, per rientrare in gioco in prima persona.
Quel che è certo è che le guarnigioni si posizionano già sul campo di battaglia. Un riscontro fatto da Lotti sui numeri in Direzione squaderna questa situazione: su 210 aventi diritto al voto, 117 sarebbero i renziani doc, 8 i voti di Orfini, 3 di Delrio; dall’altra parte ci sarebbero 9 voti di Martina, 2 di Veltroni, 20 di Franceschini, 32 di Orlando, 14 di Emiliano e poi 5 cani sciolti, gli altri non pervenuti. Ma la minoranza di Orlando non teme la conta, anzi crede che possa dare il via ad un cambio. «Neanche a Renzi conviene fare ostruzionismo, metterà dei paletti», prevede Cesare Damiano, vicino a Orlando. «Il punto nuovo sarà la frattura della maggioranza schiacciante che ha retto il partito fin qui e che ha permesso a Renzi di fare il segretario ombra. Ma se si vota a ottobre per il Pd sarà un bagno di sangue e a Renzi conviene pensarci bene».
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