Fico chiede tempo al Colle per evitare il patto con la Lega
Il presidente della Camera Roberto Fico salirà al Colle per chiedere l’unica cosa che può rendere possibile quello che oggi sembra impossibile: tempo. In questa lunga epopea di trattative e capovolgimenti, il tempo è una categoria che tutto contiene e tutto trasforma, come una sorta di divinità che muove i destini dei protagonisti inconsapevoli della meta finale.
«Serve tempo e serve Matteo Renzi» dice il reggente del Pd Maurizio Martina, ed è quello che i democratici ribadiranno a Fico, alle 11.30 di questa mattina. È prevedibile che il presidente della Camera, grillino, riporterà a sua volta una domanda che assilla il suo Movimento: cosa vuole fare Renzi? Perché il Pd vale nella sua compattezza, e senza Renzi, principale azionista dei gruppi parlamentari, l’accordo è impossibile. Lo dicono i numeri: Pd e M5S uniti valgono al Senato 161 seggi, uno in più della maggioranza. Sono cifre che al Quirinale compulsano da giorni, consapevoli di quanto tutto si regga sulle intenzioni dell’ex premier. Il timore che filtra dal Quirinale è figlio della confusione percepita, di notizie che rimbalzano dal Pd, poco incoraggianti sulla tenuta del partito. Una spaccatura non servirebbe a nulla, né avrebbe senso continuare se le condizioni poste da Renzi (un suo ruolo, o quello di Maria Elena Boschi nel governo, per fare un esempio che circola in queste ore) fossero irricevibili.</
Non resterebbe che il voto anticipato, a settembre, un fantasma che è tornato ad aleggiare tra Quirinale e il Parlamento. Per evitarlo, l’esploratore Fico dovrà inoltrarsi nella giungla dem, cercando di capire in fretta se in un margine temporale più ampio potrebbero smussarsi le ostilità. Alle 13 ne parlerà con Luigi Di Maio e il resto della delegazione grillina. Subito dopo, nel pomeriggio, andrà a riferire a Sergio Mattarella che a quel punto avrà il potere di dilatare ulteriormente i tempi.
Due date fanno propendere per l’ipotesi che le trattative si inoltreranno per più giorni. La resa dei conti interna al Pd si terrà il 2 maggio, in direzione. Mentre questa sera i parlamentari 5 Stelle si riuniranno in un’assemblea per discutere la svolta, che anche se annunciata nella abusata dialettica dei due forni, ha avuto dei contraccolpi. Cambiato il partner, devono cambiare le priorità politiche. E non è così semplice passare dal populismo sovranista anti-Bruxelles della Lega al riformismo europeista del Pd. C’è da analizzare un trauma in casa 5 Stelle, in ore incandescenti, mentre i social network che veicolano l’umore dei militanti sono scatenati contro Renzi. Per questo motivo a Fico che gli chiederà se è disposto a dare il tempo necessario al Pd per provare a rimettere insieme i cocci, Di Maio dirà di sì, soprattutto se sentirà il sostegno del Colle. Concederà tempo, perché lui stesso ha bisogno di tempo. Anche perché il messaggio che gli ha recapitato ieri un 5 Stelle vip, new entry del Movimento, come Gianluigi Paragone è stato chiaro: «Sono entrato nelle istituzioni con un’idea di cambiamento e se qualcuno pensa di allearsi col M5S deve partire da ciò che ho detto in campagna elettorale». Altre voci, invece, esultano all’idea che sia a sinistra che deve guardare Di Maio.
Il leader comunque, con astuzia e furbizia, si è tenuto due exit strategy. Una esplicita: il referendum su Rousseau per dare alla base l’ultima parola su un eventuale accordo di programma con il Pd. L’altra invece è quella che nessuno dei suoi più stretti collaboratori oserebbe confessare: riaccendere il forno con la Lega, se, di fronte alla prospettiva di un governissimo tecnico, Matteo Salvini trovasse il coraggio di rompere con Silvio Berlusconi. Uno scenario che in cuor suo Fico, fiero antileghista, vorrebbe evitare. Ma anche in questo caso bisogna aspettare. Almeno fino a lunedì, quando il voto in Friuli sancirà il dominio del centrodestra al Nord.
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