Renzi: “Governo con il M5S? Una gigantesca presa in giro”

Francesca Schianchi
roma

«Prego tutti di riflettere avendo a cuore l’unità del Pd e della nostra comunità». A cinque, lunghi giorni dalla Direzione dem che dovrà decidere la posizione da tenere nei confronti del M5S, il reggente Maurizio Martina invoca compattezza e unità. Investito nei giorni scorsi dalle dichiarazioni di guerra dei renziani, consapevole delle difficoltà del passaggio, ha dato un significato preciso alla riunione di giovedì prossimo: non il via libera a un accordo di governo con i Cinque Stelle, perché tutta l’ala renziana si era ribellata all’idea e lo aveva minacciato di mandarlo in minoranza con una conta, ma più modestamente l’occasione per «decidere se accettare il confronto o meno, per giudicarne gli esiti solo alla fine di un vero lavoro di approfondimento». Un esito che secondo il segretario dimesso Renzi è comunque già scritto: «Un governo Pd-M5S sarebbe una gigantesca presa in giro agli elettori».

 Lui domani andrà a ripeterlo in tv, a «Che tempo che fa» da Fabio Fazio. Ieri, ospite da Lilli Gruber a «Otto e mezzo», è andato il presidente Matteo Orfini a sostenere il no a qualsiasi accordo, al grido di «Salvini e Di Maio sono la stessa cosa». Fino a qualche giorno fa, lo stesso ex premier era tentato dalla mission impossibile di incaricarsi lui di convincere un partito in gran parte ostile al dialogo con Di Maio e compagnia, riprendendo così centralità e potendo dire di essere stato quello che ha evitato le urne garantendo un governo al Paese. Ora, dopo la gestione secondo lui malaccorta di Martina, lo scenario è cambiato. E in Direzione, dove è convinto di avere ancora la forza dei numeri, farà pesare la sua posizione.<

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Non mettendosi di traverso alla discussione, ma inzeppando la proposta del reggente di dialogare con Di Maio di condizioni imprescindibili. La premiership diversa da quella del capo politico grillino, la garanzia di non toccare il Jobs Act, ma magari anche la Buona scuola, oppure la proposta di intervenire sull’art. 49 della Costituzione che regola la democrazia interna ai partiti. Insomma un elenco di richieste difficili da accettare per i Cinque Stelle, utili per far saltare il banco forse prima ancora di aprirlo. Saranno gli interventi dei renziani che seguiranno quelli del reggente a segnare il cammino; lui, l’ex premier, non ha ancora deciso se andare, nonostante le sollecitazioni di chi, come la ex portavoce di Prodi, Sandra Zampa, lo invita a esserci: «Si presenti anche lui a dire la sua posizione, senza lasciarla filtrare dai “suoi”. Chi ha portato il partito al 18 per cento – aggiunge una stoccata – se ne deve prendere la responsabilità».

 

È possibile, ragionano in ambienti renziani, per mantenere un’unità almeno di facciata del partito, la Direzione si chiuderà con un documento condiviso. Dopodiché, bisognerà vedere come i Cinquestelle giudicheranno quel documento votato dai dem e se si andrà avanti, e come: con un incontro tra delegazioni, si chiedevano ieri alcuni renziani, o addirittura potrebbe arrivare un preincarico a Di Maio? In ogni modo, l’ex premier ieri ha ribadito la sua previsione: un nulla di fatto. A partire dalla constatazione che non ci sono i numeri, ripete a chi gli chiede quante possibilità abbia il tentativo, perché Pd più Cinque stelle al Senato arriva al filo della maggioranza, 161. Ed è anche convinto che, in realtà, quello di Di Maio sia solo un modo per prendere tempo, nella speranza che, passate le elezioni in Friuli Venezia Giulia, la sua prima scelta, cioè il leader leghista Matteo Salvini, si decida a lasciare Berlusconi. In serata, La7 ha diffuso un sondaggio secondo cui il 40 per cento degli elettori Pd sarebbero favorevoli a un accordo: ma la settimana scorsa la percentuale era il 42, ha fatto notare Renzi, e si tratta degli elettori, non degli iscritti. Un no, insomma, a cui arrivare attraverso un percorso che impedisca di prendersi tutta la colpa del fallimento. Difficile che dalla Direzione di giovedì esca la «bella notizia» di un governo comune che vorrebbe Michele Emiliano.

LA STAMPA

 

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