Renzi, blitz in tv e “100 punti” Ecco la trappola per i grillini
P iù si tiene aperto il «forno», più si allunga il brodo. Ossia si guadagna tempo, evitando di precipitare subito verso una nuova campagna elettorale che nessuno vuole, e nel frattempo si regolano i conti dentro il Pd, neutralizzando il rischio di clamorose spaccature.
In estrema sintesi, è questo l’obiettivo delle mosse dei Dem, alle prese con le avances grilline per il governo e con il dibattito interno sul tema. In realtà quasi nessuno nel Pd, anche tra i più aperturisti, crede seriamente che ci siano le condizioni per cercare e trovare un’intesa programmatica e politica con il partito della Casaleggio per poi fare i portatori d’acqua di Gigino Di Maio a Palazzo Chigi. «L’importante – confida un esponente renziano – è che, nella loro incontenibile ansia di andare al potere, ci credano i grillini. Così li rosoliamo un po’».
Per questo stasera Matteo Renzi, ospite in Rai da Fabio Fazio, non chiuderà pregiudizialmente al confronto, si dirà disponibile al confronto con tutti, persino con gli inviati della Casaleggio, ma metterà bene in chiaro le regole di ingaggio. «Per noi si parte dai cento punti del nostro programma elettorale, ossia dalla conferma delle nostre riforme», sottolinea il capogruppo dei senatori Andrea Marcucci. E Matteo Richetti rincara: «Per loro Di Maio premier è condizione non trattabile. Qualcuno può avere l’ardire di pensare che i gruppi parlamentari del Pd possano votare la fiducia a un Di Maio premier?».
È una netta correzione di rotta rispetto al percorso che era stato intrapreso dal reggente del Pd Maurizio Martina, e che rischiava di portare il partito a sedersi al tavolo dei Cinque Stelle in condizioni di debolezza. «Martina – dice un renziano – ha aperto a Fico nei tempi e nei modi sbagliati, spinto sia da Mattarella, che vuole a tutti i costi evitare il centrodestra al governo, sia dall’ala Pd che punta alla de-renzizzazione del partito e lo ha mandato avanti».
L’ex segretario ha però fatto pesare il suo potere di veto, e alimentato la resistenza anti-grillina, riuscendo a dimostrare due cose: che la base del Pd è fortemente contraria all’abbraccio con un partito che considera incompatibile almeno quanto la Lega di Salvini; e che non si possono fare i conti senza l’oste renziano. Se insomma la manovra puntava a marginalizzare l’ex premier e a dimostrare che non è più lui a decidere, ha ottenuto l’effetto opposto: lo ha rimesso al centro della scena. E ieri Martina ha iniziato la retromarcia: intervistato da Sky, ha frenato sull’accordo (sarà la Direzione a decidere «se» avviare un confronto), ha rivendicato le riforme renziane («difenderò sempre il lavoro fatto dai governi Pd») e ha promesso una «consultazione della nostra base» sull’opportunità di dialogare con Di Maio. I renziani lo valutano come un «primo passo» verso il ricompattamento. Nella Direzione di giovedì nessuno vuole la conta: né gli anti-renziani, che probabilmente la perderebbero (con il rischio dimissioni per Martina), né i renziani che si ritroverebbero con numeri più risicati di quelli annunciati sulla carta. Se Martina concorderà con Renzi una relazione che apra al confronto ma ponga condizioni inaggirabili, sarà votata da tutti. Il famoso cerino tornerà in mano a Di Maio, che dovrà decidere se accettarle o meno. Intanto, si guadagnerà altro tempo, e nel Pd c’è già chi vede inevitabili elezioni, ma non prima del febbraio 2019.
IL GIORNALE