Lombardia e Lazio le regioni più a rischio terrorismo islamico

Roma – Le quattro regioni italiane più a rischio terrorismo, l’impennata delle intercettazioni per evitare attentati e la scoperta che il 50 per cento del nostro mercato delle armi riguarda i paesi islamici sono i risultati di un rapporto reso pubblico in questi giorni.

Il gruppo italiano Demoskopika specializzato in ricerche economiche e di mercato ha reso noto l’indice annuale del terrorismo, che traccia la minaccia del rischio potenziale nel nostro paese. Lombardia, Lazio, Piemonte ed Emilia Romagna sono le regioni più a rischio. La mappa è stata realizzata tenendo conto di quattro indicatori ritenuti «sensibili». Il primo è il numero di intercettazioni autorizzate per prevenire la minaccia terroristica non solo di matrice jihadista. Il secondo riguarda il numero degli attentati avvenuti sul nostro territorio. Il terzo gli stranieri residenti in Italia provenienti dai primi cinque paesi individuati come la «top 5» del terrorismo. Ed infine il flusso dei visitatori nei musei o siti culturali italiani considerati possibili obiettivi. La Lombardia, che ha ottenuto il punteggio massimo di 10, si conferma la regione più a rischio terrorismo per il terzo anno consecutivo.

Il Lazio è distanziato di poco con un punteggio di 9,25 seguito dal Piemonte che avanza di una posizione nella scala del rischio terrorismo. Quarta classificata l’Emilia Romagna, che, al contrario, retrocede di una posizione rispetto all’anno precedente. Nell’area intermedia di rischio si posizionano Campania, Toscana, Veneto, Trentino Alto Adige e Liguria. In coda Puglia, Umbria, Abruzzo e Molise. La regione meno a rischio è la Basilicata. Il dato interessante conteggiato da Demoskopika è quello delle intercettazioni per evitare attentati o controllare sospetti terroristi. «Dal 2005 al 2016, il numero dei bersagli, come vengono chiamate in gergo le utenze controllate, autorizzato dalle procure è stato complessivamente pari a 10.885», si legge nel rapporto. I controlli riguardano sia il terrorismo internazionale che quello interno. Nel corso del tempo le intercettazioni sono aumentate arrivando due anni fa al picco di 1774. Nel 2015 i «bersagli» erano 1120 e l’anno prima 627. In pratica si è registrato un incremento del 182,9 per cento. «A livello territoriale, le sezioni terrorismo delle procure operanti nei distretti giudiziari di Lombardia, Lazio e Campania sono risultate le più attive autorizzando il 60 per cento del totale delle intercettazioni italiane», rivela il rapporto. Un altro dato utilizzato per la ricerca riguarda i 206mila stranieri residenti in Italia che arrivano dai cinque paesi a più alto indice terroristico stilato a livello globale dall’Institute for Economics and Peace. Iraq, Afghanistan, Nigeria, Siria e Pakistan sono le nazioni della top 5 del terrore. I pachistani rappresentano la comunità più ampia e sono maggiormente presenti in Lombardia seguiti dai nigeriani. Il gruppo di ricerca oltre al rischio terrorismo si è focalizzato sulle vendite di armi italiane all’estero. Negli ultimi tre anni il giro di affari delle esportazioni belliche ai paesi islamici vale 16 miliardi di euro, la metà del totale. E fra i clienti più «redditizi» figurano Qatar e Arabia Saudita, non proprio esempi di democrazia, con una spesa di 5,3 miliardi di euro. I sauditi sono impegnati in una sanguinosa guerra nello Yemen ed il Qatar è ancora sospettato di appoggiare e finanziare i gruppi del terrore. L’Italia vende molto anche al Kuwait, la Turchia e altri paesi musulmani dall’Egitto all’Indonesia. Demoskopika fa notare che «ogni 100 euro incassati dalle imprese italiane per la fornitura di armamenti, circa 50 provengono dai Paesi battenti bandiera islamica».

IL GIORNALE

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