M5s, cade la maschera moderata
E così, dopo aver distribuito a piene mani responsabilità e moderazione per due mesi interi, ora il Movimento 5 Stelle, fallito il tentativo di guidare il governo e spuntando nuove elezioni all’orizzonte, torna sulle barricate. Grillo riesuma il vecchio cavallo di battaglia che c’illudevamo fosse stato venduto tempo fa per carne equina: il referendum sull’euro. Mentre Di Maio attacca l’eventuale governo di tregua definendo i «partiti» nientemeno che «traditori del popolo» – e innalzando così il livello già insopportabile di violenza verbale della nostra vita pubblica, come se non avessimo bisogno d’altro.
Quest’ultima sterzata è talmente brusca da lasciar senza parole. Ma le svolte del Movimento sono state così numerose che forse a questo punto dovremmo smetterla di sorprenderci. Il M5S non ha dei momenti di incoerenza – è strutturalmente incoerente. Meglio: è fondato sul presupposto che la coerenza non conti nulla. E poiché nella sua incoerenza assoluta è assolutamente coerente, gli elettori non lo puniscono. O almeno non lo hanno punito finora, e si può presumere che non lo puniranno fin quando non si renderanno conto che il prezzo di quell’incoerenza lo pagherà il Paese. Ma come si spiega il disinteresse per la consequenzialità che pare caratterizzare sia i pentastellati, sia i milioni italiani che li votano?<
Per il Movimento, innanzitutto, il modo in cui le decisioni vengono prese conta più della sostanza di quelle decisioni. Gianroberto Casaleggio – come scrive Jacopo Iacoboni in «L’esperimento» – era solito insistere sulla necessità che il metodo fosse anteposto ai contenuti. Il metodo, ovviamente, è quello dell’iperdemocrazia diffusa (ma, quando serve, governata) che si presume la Rete abbia finalmente reso possibile. E i contenuti sono quelli che la base sceglierà con quel metodo, qualunque essi siano. Ma i contenuti – basta dare un’occhiata al programma elettorale elaborato sulla piattaforma Rousseau per rendersene conto – sono raccolti in maniera alluvionale, senza la minima attenzione per priorità e compatibilità. E questo li rende irrilevanti, in definitiva, intercambiabili a tal punto che Di Maio può cercare di allearsi con la Lega per realizzare un pezzo di programma (o, per meglio dire, non-programma), oppure col Partito democratico per realizzarne il pezzo diametralmente opposto.
Ma la gran parte degli elettori del Movimento probabilmente nemmeno sa che cosa sia Rousseau – si obietterà. È vero, però qualcosa del messaggio dev’essere passato, evidentemente. E dove non è arrivato il messaggio, è entrato in funzione un secondo meccanismo, ancora più importante. A buona parte degli elettori del M5S non sembra interessare affatto che sia realizzato un programma, tanto meno coerente: il loro obiettivo, come per le «masse di capovolgimento» descritte da Elias Canetti, è rovesciare i «potenti». Con ogni probabilità anche il ruolo di Grillo non è quello di guidare dei seguaci, ma di catalizzarne e incanalarne l’animosità: Grillo è un «cristallo di massa», per restare nella metafora di Canetti, non un vero e proprio leader politico. L’interazione fra queste due dinamiche – «massa di capovolgimento» da un lato, iperdemocrazia diretta dall’altro – ha fatto del Movimento 5 stelle una macchina elettorale perfetta. Il che vuol dire un perfetto meccanismo di potere: cinico e trasformista come probabilmente non hanno saputo esserlo nella storia d’Italia nemmeno i più induriti ascari giolittiani o peones dorotei.
Parrebbe il colmo del paradosso che, nell’ansia di rovesciare un ceto politico considerato inetto, bugiardo e autoreferenziale, gli italiani si siano affidati a un movimento il cui unico, vero scopo è arrivare a ogni costo al potere. Ma non è affatto un paradosso: è la conseguenza logica, forse perfino necessaria, di una crisi della politica così grave da far maturare a molti elettori la convinzione non del tutto irragionevole, ma di certo assai pericolosa, che l’unico modo per uscirne non sia resistere o tornare indietro, ma assecondare fino in fondo la corrente.
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