Mattarella farà un appello al Paese e per l’esecutivo cerca nomi “pop”
Tutto e tutti sembrano remare contro il governo di tregua, al punto che tra i nemici del Colle (ce ne sono un certo numero, perfino nell’ex-partito del Presidente) ieri fiorivano battutacce irriguardose tipo «colpito e affondato», insieme a discorsi fintamente preoccupati per la «brutta figura» che Sergio Mattarella farebbe qualora la sua proposta venisse bocciata dal Parlamento. Il rischio senz’altro esiste e sul Colle ne sono consapevoli. Tuttavia a sera non si percepiva lassù quel clima di resa che precede le grandi disfatte. Al contrario, circolava un’aria di cauto ottimismo, come se l’impresa di evitare elezioni-bis risultasse ancora fattibile. Inutile domandare su cosa si fondi tale speranza: il Quirinale non è mai stato il palazzo degli spifferi. La sensazione è che il terrore di tornare al voto stia provocando riflessioni a 360 gradi, e non soltanto tra i «peones», i quali già si sentono condannati a tornare nel nulla da cui sono venuti. Accordi impossibili oggi (tra M5S e Lega, oppure tra Centrodestra e parte del Pd) potrebbero diventarlo tra pochi mesi: perché gettare la spugna subito e non attendere quanto basta affinché le intese maturino?
Gelo su Salvini
Di certo, il Presidente non ingrana la retromarcia. Il suo programma resta invariato. Lunedì ascolterà i partiti per verificare se gli porteranno qualche novità oppure verranno a ripetergli le solite tiritere. Il colloquio con Salvini si annuncia particolarmente difficile perché il leader della Lega, che ieri sembrava disponibile a ragionare di tregua, alla fine chiederà un incarico per se stesso o, in subordine, per qualche personaggio di centrodestra che vada in Parlamento a raccattare i voti necessari. Mattarella gli chiederà in quali aree politiche immagina di trovare quei voti e Salvini risponderà (ne ha ragionato ieri a lungo con Berlusconi per evitare discussioni nel salotto presidenziale) che qualora rivelasse i nomi dei potenziali sostenitori, rischierebbe di far implodere il suo tentativo, dunque manterrà il riserbo. Per farla breve: lunedì si dimostrerà che, purtroppo, i partiti sono annegati nel classico bicchier d’acqua. Quella sera stessa, o l’indomani, il Capo dello Stato metterà in campo il «suo» governo. Lo farà giurare fedeltà alla Repubblica, cosicché Gentiloni uscirà di scena. E il nuovo premier andrà in Parlamento per chiedere la fiducia. Se verrà negata, gestirà le elezioni dopo l’estate. A occhio nudo sembra la prospettiva più probabile. Eppure, al Quirinale pensano di avere ancora un paio di buone cartucce.
Le due cartucce
Anzitutto, il discorso del Presidente. Mattarella parlerà al Paese facendo leva sulla propria immagine e cavalcando l’onda del malessere collettivo. Ognuno ha il proprio stile, per cui sarebbe incauto tirare in ballo Pertini o gli altri predecessori che si rivolsero direttamente al popolo. Sia come sia, l’attuale inquilino del Colle non le manderà a dire; additerà i fautori di elezioni anticipate quali colpevoli degli inevitabili rincari che colpiranno anzitutto la povera gente (per congelare l’aumento dell’Iva al 25 per cento servirebbe un governo che approvi entro l’anno la Finanziaria, in caso di nuove elezioni non si farebbe in tempo). Chi si opporrà al governo di tregua dovrà pagare un prezzo politico. E poi Mattarella, a quanto si dice, sceglierà una squadra di governo parecchio innovativa. Altro che ministri tecnici, funzionari semi-sconosciuti o grand commis dalla dubbia reputazione: sul Colle si sta lavorando, nelle intenzioni, a nomi super-partes che colpiscano l’immaginario, a soluzioni sorprendenti, perfino un po’ «pop», alle quali chi rappresenta il nuovo faticherà a rispondere no. O dovrà farlo a malincuore.
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