La Lega sale al 21,2% e Salvini leader più gradito: il M5S al 33,7%, ancora in calo il Pd

Dopo le elezioni regionali in Molise e nel Friuli Venezia Giulia lo stallo politico continua e la faticosa ricerca di una maggioranza di governo sembra senza via d’uscita. Le cronache recenti si sono arricchite di altre vicende che hanno suscitato molto clamore, da quella della colf che ha riguardato il presidente della Camera Fico, all’intervento di Renzi nella trasmissione di Fabio Fazio. Con il sondaggio odierno abbiamo voluto verificare, a distanza di due settimane, in quale misura è cambiato il clima politico tra gli italiani.

Iniziamo con gli orientamenti di voto che fanno segnare due variazioni di rilievo, rappresentate dalla crescita della Lega che passa dal 19,5% di due settimane fa al 21,2% odierno (+1,7%) e dal calo del Pd che scende dal 19,5% al 18,3% (-1,2%). Al primo posto si conferma il M5S con il 33,7% (+0,2%), seguito da Lega e Pd, quindi Forza Italia con il 13,1% (+0,2%), Fratelli d’Italia (3,6%, in calo di 0,7%), Liberi e Uguali (2,8%) e Più Europa (2,2%).

Il quadro complessivo, quindi, conferma lo scenario emerso il 4 marzo: il centrodestra è la prima coalizione e sfiora il 39% dei consensi (avvicinandosi alla cosiddetta «soglia implicita» del 40% che potrebbe garantire la maggioranza), i pentastellati consolidano il loro primato, il centrosinistra arretra di 1,4%, mentre i partiti più piccoli, penalizzati da una minore visibilità mediatica, lasciano sul terreno qualche decimale e l’area dell’astensione si mantiene sui livelli sostanzialmente stabili. L’indice di gradimento dei leader fa registrare un cambiamento nelle posizioni del podio, infatti mentre in aprile Di Maio (indice 45) precedeva Salvini (43) e Gentiloni (41), oggi Salvini (44) prevale su Gentiloni (43) e Di Maio (37), scivolato al terzo posto con un calo di 8 punti. A seguire Fico (35, in calo di 4 punti), Meloni (29), Casellati (24, in crescita di 5 punti dopo la ribalta del mandato esplorativo), Berlusconi (23) e Martina (21). Chiudono la graduatoria Renzi (15) e Grasso (14), entrambi in flessione.

Un ulteriore indicatore del clima politico è rappresentato dal giudizio che gli elettori esprimono sull’operato dei partiti. A tale proposito è interessante analizzare non solo la graduatoria ma anche la parabola delle singole forze in campo. Al primo posto si colloca la Lega, il cui operato è gradito dal 46% degli elettori, in costante crescita dal mese di febbraio in poi (+ 18%). A seguire il M5S, con il 41% dei consensi, in crescita di 8 punti rispetto a febbraio, ma in calo di 10 punti rispetto al picco raggiunto a fine marzo. A seguire Fratelli d’Italia, sostenuta dal consenso del 27%, in crescita del 5% rispetto a febbraio nonostante la lieve flessione nelle intenzioni di voto (è un partito apprezzato che però non incrementa l’elettorato), quindi Forza Italia (23%, in calo del 6%), il Pd (19%, in calo dell’11%) e Leu (10%, in calo del 9%).

Lo scenario che emerge dopo le regionali evidenzia più un cambiamento di opinione nei confronti di leader e partiti che non in termini di orientamenti di voto. Ne consegue che Salvini e la Lega aumentano in misura più che proporzionale rispetto all’aumento degli elettori virtuali registrato nei sondaggi e per converso Di Maio e il M5S calano significativamente nelle opinioni pur aumentando di un punto nell’elettorato e, dato da non sottovalutare, facendo comunque registrare giudizi nettamente più positivi rispetto alla vigilia delle elezioni di marzo. Il Pd, alle prese con complicate dinamiche interne, fatica a riprendersi dal negativo risultato elettorale.

Come si spiega questa dinamica? Il miglioramento dei giudizi dell’opinione pubblica dipende dalla capacità di rispondere alle aspettative di una platea più vasta rispetto a quella rappresentata dal proprio elettorato. L’immagine del M5S è migliorata molto soprattutto presso gli elettori del centrodestra per poi ridiscendere sia per il veto su Berlusconi (che ha portato ad alienare le simpatie per il movimento da parte degli elettori di Forza Italia), sia per il fallimento (provvisorio?) della trattativa con la Lega e l’avvio di un’ipotesi di accordo con il Pd che hanno determinato il ritiro della fiducia di gran parte dei leghisti nei confronti dei pentastellati. In queste settimane di trattative fra le forze politiche abbiamo quindi assistito ad un’altalena di aspettative disattese che non hanno modificato, se non parzialmente, gli orientamenti di voto ma hanno cambiato sensibilmente gli atteggiamenti rispetto ai leader, ai partiti, alle ipotesi di alleanze e perfino all’eventualità di nuove elezioni.

Questa fluidità delle opinioni, a fronte di una sostanziale stabilità nelle scelte di voto, è in parte riconducibile anche al ritorno ad un sistema proporzionale che è apparso asincrono rispetto alle attese degli elettori i quali, a torto o a ragione, si sono recati alle urne convinti di scegliere maggioranza e leader e di conoscere il vincitore «alla sera delle elezioni». Non a caso, come abbiamo osservato la scorsa settimana, aumenta la quota di coloro che non indicano alcuna preferenza per le diverse ipotesi di maggioranza perché, piuttosto che un accordo tra forze politiche diverse e leader sempre più inclini a dichiarazioni reciprocamente ostili, meglio tornare a votare o stare all’opposizione. In fondo il nostro è un Paese «contro» e si può sempre contare su una rendita «d’opposizione».

CORRIERE.IT

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