M5S, Di Maio spacca i suoi eletti. L’ombra di Di Battista: «Tornare per il voto? Vedremo»
Quel che lascia trapelare agli amici del Movimento Alessandro Di Battista, non è un balsamo per i dolori del giovane Di Maio. Tornerai, gli chiedono, in caso di urne anticipate o resterai negli States a fare il reporter? «Perché, si vota davvero? Vedremo». La risposta sarebbe potuta essere un semplice «no». E invece è un «vedremo». Che arriva nel momento peggiore per Luigi Di Maio, reduce da due mesi di trattative fallimentari (per colpa dei «tradimenti» di Renzi e Salvini, si difende) e ora costretto a ribadire la sua leadership di fronte a un affondo imprevisto del finora silente Beppe Grillo. Che non si limita a urlare al golpe, nell’intervista al settimanale francese Putsch. Realizzata il 29 aprile in piena trattativa con il Pd, che il fondatore non apprezzava per nulla. E così Grillo manda all’aria due mesi di paziente riposizionamento filo-atlantico e lancia l’uscita non solo dall’euro, non solo dall’Unione europea, ma addirittura «dall’Europa». Parole viste come un atto quasi di sabotaggio. Tanto che tutti si affrettano a ribadire la «leadership» di Di Maio. E lui stesso, infuriato e deluso, derubrica così l’uscita del solito «burlone» Grillo: «Lo conosciamo, è uno spirito libero. Ma la linea M5S non cambia».
Stop alla fiducia
Sarà pure, ma non pare. Perché il Movimento sembra imploso, per la frustrazione di un governo che non riesce a nascere e per una prospettiva di ritorno alle urne che spaventa molti. Per questo ora si gioca la carta del vittimismo, del «tutti contro di noi», e si torna a vecchie parole d’ordine, come il ritorno alla piazza, l’euro, il colpo di Stato. Salvini ha chiesto a Di Maio di «vedere», nella nuova partita a poker del governo «di tregua», ma lui non si fida più: «Non ci sediamo più al tavolo di gioco con un baro». Con altre parole, lo dice anche Elio Lannutti: «Gentile Salvini, la fiducia in politica è cosa seria. Quando è perduta, difficile recuperarla».
Il malessere dei parlamentari
Ma c’è dell’altro. C’è una spaccatura di fatto tra la truppa dei 5 Stelle e Di Maio. Per una ragione semplice: i loro interessi divergono. Molti parlamentari premono per restare dove sono. E anche la promessa di una ricandidatura in massa non convince: i 5 Stelle al Nord, e non solo, rischiano di perdere terreno e non ci sono seggi garantiti. Di Maio, invece, rischia di perdere tutto, se si allontana il voto. Perché c’è il divieto del doppio mandato, a lungo sbandierato come norma invalicabile e fondante, e ora rimesso in discussione. «Deciderà il garante», dicono Danilo Toninelli e lo stesso Di Maio. Ma la deroga avrebbe senso ora, a legislatura quasi non iniziata, non se si andasse al 2019. In quel caso Di Maio perderebbe legittimità e la carta Di Battista potrebbe seriamente tornare sul tavolo. Per questo Di Maio ribadisce che si deve andare a votare a giugno, nonostante sia impossibile («Ma un regolamento non può impedire il diritto di voto»). Se il voto arriverà troppo tardi la sua carriera nei 5 Stelle, salvo superderoghe, sarà finita.
CORRIERE.IT