Dai tempi supplementari alla clausola “anti-Monti”

Roma – È una declinazione della crisi del tutto innovativa, quella avanzata ieri dal presidente Mattarella.

Innovativa ma non per questo fuori dai binari costituzionali, per quanto alcuni aspetti possano suscitare perplessità.

1. Andrebbe anzitutto separata la parte politica del discorso da quella più istituzionale. Al di là dei consueti toni pacati usati dal presidente, con voce ridotta come sempre a sussurro, durissimo è il suo monito nei confronti dei partiti che per questi 60 giorni gli devono essere apparsi come una giostra ripetitiva, incapace di schiodarsi dalle proprie posizioni per cercare forme di collaborazione. «C’è bisogno di più tempo», è stata la constatazione del presidente. Eppure il Paese ha necessità di un governo subito. Un governo «neutrale, di garanzia, di servizio», la soluzione immaginata da Mattarella. Quindi, neppure «caldeggiato» dal Quirinale come era accaduto nel passato, bensì in qualche modo sua diretta emanazione, come accadde con Mario Monti. Il capo dello Stato sceglierà in autonomia la personalità che possa calarsi in questo ruolo «arbitrale»: fonti del Colle giurano che questo nome non c’è ancora, né tantomeno è stato «preavvisato». È ancora (e solo) nella mente di Mattarella

 

2. Altra novità «politica» è che il Quirinale mette in mora le forze che hanno dimostrato così poca attenzione alle necessità impellenti del Paese. Lanciare in Parlamento un governo neutrale, al buio, senza maggioranza precostituita, significa solo una cosa: che i partiti che non dovessero votare la fiducia si caricheranno della responsabilità di portare il Paese alle urne senza che ci sia una reale possibilità di modificare sostanzialmente il risultato. Con tutti i pericoli e le preoccupazioni che il presidente ha ventilato per l’economia (soprattutto il possibile aumento dell’Iva) e le speculazioni finanziarie.

3. Altre tre notevoli innovazioni riguardano invece i profili istituzionali di questo esecutivo di decantazione. Nel caso ottenga la fiducia, avrà scadenza prefissata: dicembre, dopo il varo della Stabilità. Quindi gestirà le elezioni di primavera ’19. Ma qualora in Parlamento i partiti dovessero mostrare «nuova» capacità di collaborazione, e addirittura riuscire a creare una nuova maggioranza, il governo neutrale si dimetterà per permetterne il varo (non è mai accaduto, nella storia repubblicana). Infine, un ultimo profilo teoricamente discutibile: chi farà parte del governo quirinalizio s’impegnerà a non candidarsi nelle successive elezioni. Una compressione della libertà personale che di sicuro scongiurerà il rischio di un nuovo «caso Monti» (si creò il suo partito facendo disperare Napolitano), ma che pone notevoli dubbi di carattere pratico. Un impegno formale, nero su bianco, sarebbe contra legem anche se vidimato da un notaio. Un impegno sulla parola, sigillato dalla stretta di mano presidenziale, un caso mai visto prima. Almeno nell’era moderna.

IL GIORNALE

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